giovedì 29 dicembre 2011

Il poeta latino Nevio e il romanzo "E cantavamo alla luna"


Mi è stato chiesto di spiegare i versi latini che si trovano a pag. 66 del romanzo “E cantavamo alla luna” in quel pezzo dove si legge:


Nel momento in cui lo vide uscire dalla tenda, figura simile ad un corvo nero nella notte buia, Quinto Cornelio pensò a come sarebbe stato più piacevole in quel momento riprendere in mano il foglio che aveva nascosto sotto le carte militari appena lui era entrato;

seseque ei perire mavolunt ibidem

quam cum stupro redire ad suos popularis

così diceva il poeta, i cui versi epici avevano attraversato il mare chiusi fra segreti incartamenti. Oh! Fido Ascanio come potrei fare senza di te? Pensò così, ma fu subito interrotto dal rumore degli zoccoli di un cavallo che arrivava di corsa e dalle grida di un soldato“.


Il verso è tratto dal primo poema epico nazionale romano scritto da Gneo Nevio nel III sec. a.C. "Bellum Poenicum". Esso narra delle prima guerra punica alla quale lo stesso poeta aveva partecipato.

I versi così dicono:

essi preferiscono morire in quello stesso posto

piuttosto che tornare coperti di vergogna dai loro concittadini


E' chiara l'allusione metaforica allo stato d'animo in cui si trova Quinto Cornelio in quel momento. Egli è infatti pressato dal governo centrale di Roma che vuole conquistare il cuore della Sardegna. L'avanzata verso la Barbaria infatti non procede come dovrebbe perchè - nel romanzo - ostacolata da continui sabotaggi a opera dei sardi.

domenica 25 dicembre 2011

Il mio cuore in Sardegna


IL MIO CUORE IN SARDEGNA
(da leggere possibilmente ascoltando la Sonata n.2 op.35 di Chopin, musica che unisce la tristezza della morte alla speranza nell'aldilà)

Ho letto che il grande musicista romantico Chopin, sepolto alla sua morte nel cimitero monumentale del Père-Lachaise, volle che il suo cuore fosse portato in Polonia sua patria d'origine. Esso fu incastonato in un pilastro della cattedrale di Santa Croce a Varsavia.
Poteva passare indifferente al mio “cuore” - da sempre vicino all'animo romantico di quegli eroi della penna, del pennello e dello spartito che vissero all'inizio dell'Ottocento - una tale notizia?
Potevo non vedere, con proiezione mentale molto veloce, forse ovvia, il mio cuore tumulato in un pilastro della Cattedrale di Santa Maria Maddalena di Lanusei?
Devo solo decidermi a scegliere uno dei grandi pilastri di questa chiesa neoclassica nel tempo restaurata e privata - oh! che colpo a questo cuore negli anni affinato ad una certa sensibilità estetica - dei gradini che ne rialzavano la zona del presbiterio, della balaustra di marmo che vedeva inginocchiati i credenti in periodo pre-conciliare, del pulpito che si protendeva con la sua scaletta a chiocciola sui fedeli nel mezzo della navata per poter meglio ascoltare la parola di Dio quando ancora non era stato inventato il microfono.
Sta a me decidere, sono io che scrivo le mie volontà.
Sarà il pilastro in corrispondenza del dipinto sulla volta a botte della Maria Maddalena peccatrice, o quello dove appare che si converte, o piuttosto penitente, o ancora meglio glorificata?
E mi rivedo bambina a guardare a testa in sù, durante la Santa Messa, quei tondi che tanto mi affascinavano. E mi distraevano. Quella donna bellissima vestita all'orientale che si specchiava sinuosa su una superficie che ne rimandava una immagine mostruosa. Così mi sembrava a vederla dal basso. Il diavolo forse, mi chiedevo? E risentivo la voce della mia nonna fabrianese che mi diceva: «Pia! Non stare tanto davanti allo specchio che ti compare il diavolo!». Vanitas vanitatis che doveva servire a ricondurre la giovane nipote ad un atteggiamento più modesto e consono ad una brava cristiana.
O sarà il pilastro in corrispondenza della donna che, ormai incontrato il Cristo, si converte? O il tondo dove orante e penitente è coperta di stracci con i lunghi capelli sciolti? O quella dove è glorificata e santa? Forse sarà quest'ultimo, buon auspicio per questa mia anima sempre tormentata. « Spe salvi facti sumus » - nella speranza siamo stati salvati - dice san Paolo (Rm 8,24).
Certo, a ben pensarci, la donna dipinta è sempre sola. Solo lei è artefice della sua salvezza. Il libero arbitrio ce lo gestiamo noi, sta a dire il pittore. Sta a noi scegliere la via da seguire. L'incontro che redime c'è stato ma lo si intuisce.
E qui ringrazio il pittore che mi ha permesso di sognare da piccola. Grande Mario Delitala, pittore oranese eccellente, che dipinse questi tre affreschi negli anni 1926-1927. Pittore che ebbe solo il demerito di farmi distrarre durante le sacre celebrazioni.
Eppure nessuno mai me ne parlò a quei tempi. Lo dovetti conoscere già adulta grazie solo ai miei studi e interessi personali. Carenza che spero venga colmata per le nuove generazioni. La scuola a quel tempo rimase muta. E il parroco pure. Tesoro inestimabile che spero non resti più occultato dal silenzio dell'ignoranza.
Ecco allora che dalla memoria non silenziosa di questa bambina attenta emergono i tre dipinti su tela della zona del presbiterio. La Natività a sinistra, la Deposizione a destra e in alto, al centro dell'abside, il Crocifisso. Li guardavo consapevole che erano di mano bella. Chi li aveva fatti? mi chiedevo. Niente c'era fra le mie conoscenze esperienziali di simile. Ne ammiravo il forte realismo, la luminosità scura che li plasmava, le composizioni che mi facevano entrare a partecipare di quegli eventi. E ne rimanevo estasiata.
Ed eccomi qui, ormai adulta, a scegliere il pilastro della tumulazione del mio cuore. Il corpo dove sarà? In un misero e anonimo loculo del cimitero sud di Torino? O nell'imponente mussoliniano mausoleo siciliano dove ci aspettano i cari estinti di mio marito? Sinceramente non mi interessa perchè in questo momento sono assorbita da un'altra visione. Vedo il giorno del Giudizio Universale; avete presente una scena come quella descritta da Michelangelo nella Cappella Sistina o, meglio ancora, la Resurrezione dei corpi dipinta da Luca Signorelli nella cappella di San Brizio nel Duomo di Orvieto?
M'immagino che riprendo il mio piccolo e fragile corpo e corro, corro, corro. Dove? Ma in Sardegna non lo capite? In Sardegna dove c'è il mio cuore!

© Pia Deidda 2011


Per conoscere Mario Delitala consiglio: http://www.sardegnacultura.it/documenti/7_39_20060406180646.pdf

venerdì 23 dicembre 2011

Poesia di Pia Deidda, La parola riscalda


La parola riscalda

Il vuoto è vuoto.
Il freddo è silenzio.

Il silenzio è gelo.
La parola riscalda
questa solitaria assenza.


© Pia Deidda 2011

sabato 17 dicembre 2011

Presentazione del romanzo di Pia Deidda "E cantavamo alla luna" nella Biblioteca Civica di Via Leoncavallo a Torino


Presentazione del mio romanzo "E cantavamo alla luna" nella Biblioteca Civica di Via Leoncavallo a Torino il 17 dicembre 2011



E inaugurazione della mostra "Il sito archeologico nuragico del bosco Seleni di Lanusei. Luogo che ha ispirato il romanzo "E cantavamo alla luna" di Pia Deidda


Un bel commento sulla giornata di sabato nel blog:
http://lucianaele.wordpress.com/2011/12/21/il-nuovo-libro-di-pia-deidda/#comment-3702

lunedì 12 dicembre 2011

Racconto di Pia Deidda "La borsetta"


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LA BORSETTA
Bonaria guardava estasiata, la bocca completamente spalancata, il grande armadio ad ante con specchi che era stato appena aperto dalla sua padrona. Quello che stavo osservando, e vivendo, era uno spettacolo di sublime bellezza che le faceva gioire il cuore facendolo battere più velocemente, quasi violentemente. Era stupore per quegli occhioni, enormi e ingenui, vedere in un solo istante tale tripudio di forme, colori e materiali diversi. Era tutto un gioco di indescrivibili sensazioni accumulate in un groviglio troppo istantaneo, difficile da incanalare fra animo e psiche.
L'interno dell'armadio era composto da tanti ripiani completamente ripieni di borsette di ogni tipo. Non si riusciva a contarle. Ci provò Bonaria ma arrivata al terzo livello ne perse il conto.
«Prendine pure una Bonaria. Sceglila tu, te la regalo. Sarà tua, per sempre. Ma non di quelle del ripiano più alto. Quelle no! Quelle non si toccano», aveva detto la padrona spalancando meglio le pesanti ante.
Bonaria accompagnata da uno sfarfallio allo stomaco, allungando il collo e alzandosi sulle punte dei piccoli piedi, poteva vedere nell'ultima irraggiungibile mensola, l'altezzosa Kelly di Hermès, la raffinata 2.55 di Chanel, l'avveniristica Paco Rabanne, la Bagonghi di Roberta di Camerino, l'austera Dior in coccodrillo e poi, Schuberth, Yves Saint Laurent, Courrèges, e ancora Pucci, Gucci, Capucci.
Intoccabili borsette. Le era stato permesso solo di guardarle, ammirarle nella loro solitaria posizione, collocate lassù a ricoprire un posto d'onore come in un palchetto teatrale. Posizione che ne distingueva il loro ruolo sociale.
«Intoccabili borsette» sospirò fra sé Bonaria «Chissà perchè la signora non le tiene conservate nella loro custodia di tessuto? Forse ogni tanto vuole ammirarle, così, solamente aprendo le ante. Ma quando le usa? Non basta un'intera vita...».
Sì limitò a guardare, scorrendo lo sguardo nei ripiani più bassi, e con un sorriso disse alla padrona:« Mi dia un po' di tempo...». Sapeva che non sarebbe stata facile compiere una scelta. Richiuse piano le ante dell'armadio, con fare attento e timoroso, nemmeno fossero state le porte di un tabernacolo. Neanche fosse stata davanti agli ori della Madonna di Bonaria a Cagliari.
Il cordino appeso alla chiave, realizzato con fili di seta intrecciata e terminante con una rosa dorata, ondeggiò lievemente rimandando un aureo bagliore riflesso dallo specchio. Conferma per Bonaria della raffinata eleganza della sua padrona e di quel grande moderno appartamento signorile dell'ultimo piano che si affacciava sui tetti dei Parioli.
«Bonaria? Ehi, Bonaria! Incantata ti sei?».
«Non ti sente, guarda com'è tutta presa...».
«Ma cosa sta guardando?».
«Quella signora continentale seduta al tavolino del bar».
«Non mi dirai che sta guardando la borsetta! Ehi! Bonaria, mi senti?».
«Eja! E' incantata dalla borsetta. Ehi! Bonaria, ci senti?».

Bonaria approfittò di un fine settimana, quando i suoi padroni partirono per la casa al mare, per poter osservare meglio le borsette dell'ultimo ripiano. Era una tentazione troppo grande che l'aveva accompagnata per tanti giorni. Il grande armadio l'aspettava, scrigno di un tesoro per lei inestimabile.
La signora, qualche giorno prima, le aveva chiesto se avesse compiuto la sua scelta e lei, ad occhi bassi, con la timidezza che l'aveva sempre contraddistinta, le aveva risposto di no e le chiese di aspettare ancora un po'. «Certo Bonaria, prenditi tutto il tempo che vuoi. Basta solo che tu non scelga dall'ultimo ripiano».
Aveva utilizzato la scaletta, che la signora usava nel guardaroba, per arrivare fino all'ultimo ripiano. Aveva preso le borsette una ad una con riguardo estremo e le aveva distese tutte sul mastodontico letto. Quel letto le aveva provocato un effetto reverenziale appena era entrata per la prima volta in quella stanza che, ad una stima approssimata fatta a colpo d'occhio, era grande come tutta la sua casa natale dove abitava con i genitori e i cinque fratelli. Era un letto d'antiquariato, antico autentico l'aveva capito, ma inserito in un arredamento modernissimo. Risaltava ancora di più con quelle linee dorate che descrivevano ghirigori, riccioli e giravolte. Svolazzi come sospiri appena trattenuti da quell'arabescato talamo nelle notti parioline. Fu solo un pensiero che Bonaria scacciò subito con verginale candore.
Allineò con maniacale precisione le borsette in file parallele e le guardò inebriata. Passarono così lunghi minuti di silenziosa contemplazione. La camera non fu spolverata come doveva e la cucina rimase sottosopra ancora per un bel po'.
Uscita dall'incantamento ne prese una alla volta, la rigirò fra le mani, la soppesò, ne osservò tutti i particolari, annusandola pure. Eh, sì! La pelle profuma di estratti, di tannino, di aldeidi, di grassi, della storia che ha vissuto. Si sentiva in lontananza l'essenza prediletta dalla sua padrona. Sentore di rosa bulgara e ambra che impregnava i pori più profondi. E l'indice passava leggero e delicato sulle cuciture, le impunture, le borchie, gli intrecci e i rilievi matelassè. Ne ammirava di ognuna l'ottima fattura, la mancanza d' imperfezioni, l'attenzione per i dettagli e i particolari.
La prima fu la Kelly di Hermès. Era la più grande fra tutte, spiccava con la sua rigida alterigia, ostentando il suo colore rosa cipriato. Colore non invadente ma presente come una vera donna bon ton. Maria Bonaria girò il perno nell'asola di metallo e aprì il risvolto rigido; dentro era capiente e rivestita di un tessuto lucido pesante di una tonalità di un rosa appena più scuro. «Proprio una signora borsetta», pensò.
Passò poi alla più piccola, la 2.55 di Chanel che esibiva un aspetto di sensibile raffinatezza. Era di una pelle morbidissima lavorata matelassè. «Impunturata così ricorda un copriletto. Ma un copriletto da signori!». Disse fra sé mentre si metteva la lunga catenella dorata a tracolla. Si specchiò nelle ante dell'armadio e si rigirò con fare malizioso. L'immagine riflessa era quella di una ragazzina con un visino pulito e candido.

«Ma cosa hai fatto Bonaria! Come ti sei conciata!».
«Mi sono tagliata i capelli corti come ho visto in quella rivista dalla parrucchiera, mamma. E' un taglio nuovo, all'inglese».
«Oh! Per carità! Chissà quando verrà tuo padre! Oh! Per carità! E quando vedrà quel colore, figlia mia stimata, ma cosa hai fatto. Cosa hai fatto! Sembri una pannocchia di granoturco! Nasconditi, mì, nasconditi che te le do forti questa volta».

Rimise la Chanel sul letto e prese la borsa più appariscente che potesse esistere sulla faccia della terra. Sembrava uscita da una navicella spaziale come in quei filmetti di fantascienza che i suoi padroni le permettevano di vedere in prima serata. La Paco Rabanne scintillava con il suo intreccio di maglie metalliche argentate. La catena era talmente lunga che la borsa le arrivò alle ginocchia. Era piccolina Bonaria. «Starebbe bene con lo scamiciatino di nappa rossa», disse rigirandosi di nuovo davanti allo specchio. Si sistemò la gonna che saliva sempre un po' troppo in su sopra al ginocchio per colpa di quell'alto cinturone che le cingeva la vita. Anche la signora si era lamentata di quelle gonne un po' troppo corte. Lei le portava sotto il ginocchio, diceva che era più signorile.

«Ma dove pensi di andare vestita così Maria Bonaria? Sembri una puttana!».
«Ma papà...».
«Zitta e corri subito a toglierti quella porcheria».
«Ma papà l'ho copiato da Burda».
«Appunto burda è burda!!! Corri via che se ti prendo t'ammazzo di botte!!!».(1)

E venne la volta della Bagonghi di Roberta di Camerino. Era buffa, come il nome che portava, ma doveva stare bene alla signora quando portava il visone. Creava un bel contrasto. Aveva anche un non so che di elegante con quel velluto nero e la fascia rosa al centro. «Sì, veramente un bel contrasto, ma con un visone, però!».
La Bamboo di Gucci ammiccava gentile dal copriletto. Era di cavallino chiaro color del miele e il manico rigido e spigoloso risaltava più scuro. L'insieme la faceva sembrare un po' orientale e un po' urbana. «Che bella! Che bella! E' la stessa che ho visto a Paola di Liegi nella rivista che la signora tiene in tinello!».
L'ultima, per quel giorno, fu un'appariscente borsetta di Emilio Pucci; era questa di un velluto morbido al tatto che esplodeva in sgargianti forme geometrico astratte verdi, gialle, rosse, rosa e beige profilate di nero. La chiusura in metallo dorato scattò lasciando intravvedere la meraviglia di un interno in vera pelle di un giallo sfacciato. «Questa starebbe bene con la mini in pelle nera lucida. Eh, già!».
Erano proprio belle pensò e le ripose nello stesso ordine in cui le aveva trovate lassù in alto, inviolabili. Non si soffermò a guardarle tutte e, soprattutto, non si occupò quel giorno delle altre dei ripiani più bassi; aveva tante faccende da svolgere incompiute. Avrebbe scelto la sua un altro giorno.

«Bonaria hai proprio deciso, vuoi partire?».
«Sì Annicca, ne ho già parlato con i miei e hanno approvato la scelta».
«Non so come fai. Che coraggio! Io non ci riuscirei».
«Annicca tu lo sai com'è la situazione a casa mia da quando mio padre si è infortunato. Non sappiamo come fare a tirare avanti. I miei cinque fratelli sono ancora piccoli, non li prende ancora nessuno nemmeno come servi pastori o manovali qui in paese. Devo partire Annicca».
«Roma è lontana...».
«Ho parlato con Adelina mi ha già trovato una famiglia e lei i primi tempi mi starà vicina, il tempo di ambientarmi».
«Roma è grande...».
«Lo so Annicca, ma vado a fare la domestica mica devo andare a zonzo!».
«Quante di noi stanno partendo per andare a fare le servette in Continente!».
«Meglio servette lì e pagate, che servette qui nella miseria Annicca mia!».
«Mi sa mi sa Bonaria che tornerai signora e con la borsetta pure!».

E arrivò il giorno della scelta. La signora era uscita annunciando che sarebbe stata via l'intera giornata. Bonaria avrebbe avuto il pomeriggio abbastanza libero per prendere una decisione ormai definitiva. Un'idea in mente ce l'aveva perchè in alcuni sopralluoghi fatti aveva avuto un colpo di fulmine. E, come tutti i colpi di fulmine, era stato un innamoramento immediato. Ma ne voleva avere la certezza e aveva preso in rivista tutte le altre borsette. Ecco perchè erano passati alcuni mesi.
La prese dal ripiano più basso, segno che era stato uno degli acquisti più recenti della sua padrona e immaginava anche dove l'avesse fatto. Non aveva avuto il coraggio di chiederglielo ma una volta l'aveva sentita parlare del suo viaggio a Londra. Diceva che era un altro mondo, che i giovani si vestivano in maniera eccentrica e che i tempi stavano veramente cambiando, dove saremmo finiti. E guarda anche la Bonaria come si acconcia. E viene dalla Sardegna poi, mica dal Nord Europa.
Prendendola in mano rivisse i momenti rubati alle faccende di casa quando il pomeriggio sul tardi correva da Marisa la parrucchiera. Erano attimi che si ritagliava per andare lontano. Voli della fantasia sfogliati su quelle riviste di carta patinata. Parigi, Roma e Milano diventavano di colpo vicini, ma soprattutto Londra. In quegli istanti passati fra miasmi di lacche e permanenti aveva scelto quel taglio di capelli corto a caschetto che tanto si adattava al suo viso affilato e ai suoi capelli lisci come spaghetti. Taglio che era stato ideato proprio da quella giovane creatrice di moda londinese che le piaceva così tanto. La stessa che aveva scelto come sua testimonial quella ragazzina magra magra, con quegli occhioni enormi e dall'aria ingenua, che poteva sfoggiare quelle gonne così corte senza nessuna malizia. Un po' come si sentiva lei, aveva sempre pensato Bonaria.
Infilò il braccio nella corta tracolla a catena e, stando attenta a non rovinarne i fiori applicati, la spostò sulla pancia. Aveva messo il vestitino di nappa nera che aveva cucito di nascosto la notte quando era ancora in paese. Lì sì che risaltavano i fiori gialli e bianchi di plastica ritagliata e applicati su tutta la superficie della borsa. Eh sì, sarebbe stata la sua borsetta.«E chi l'avrebbe mai detto che avrei avuto anche io una vera Mary Quant!» disse fra un sorriso e una piccola lacrima di commozione. Davanti al grande specchio le sembrò per un attimo di vedere riflettersi Twiggy.

© Pia Deidda 2011

Ho scritto questo racconto per ricordare tutte quelle intrepide ragazze che negli anni Sessanta, e ancora agli inizi degli anni Settanta, partirono dalla Sardegna alla volta del Continente per andare a lavorare come domestiche nelle famiglie generalmente milanesi, torinesi e romane. Lasciavano i loro piccoli paesi e le loro famiglie povere, affrontavano il viaggio da sole e le difficoltà dell'inserimento, per una vita non facile ma che speravano dignitosa.
In particolare il racconto è dedicato a M. che lasciò di punto in bianco mia mamma, allora insegnante, a sbrigarsela da sola con due bambini non ancora grandi e la terza in arrivo, perchè l'amica E. le aveva trovato lavoro in un'altra famiglia a Roma. Mia madre ci mise un bel po' a perdonarla.
Ma è dedicata anche a Dandi che invece scelse la via della Svizzera come operaia in una fabbrica di cioccolato. Partì con i suoi capelli corti ossigenati color della stoppia d'estate e la gonna corta.
Forse a spingerle lontano non era solo un lavoro più sicuro e più remunerato ma anche il desiderio di autonomia e d' indipendenza. Esempio, comunque, della tenacia e del coraggio delle donne sarde.
M. tornò con la borsetta. Dandi pure.

(1) Burda: rivista tedesca di moda per cucito con cartamodelli. In sardo indica il luogo dove si rifugiano e coricano i cinghiali, ma anche sinonimo di “figlio di padre ignoto”.

Una recensione:
http://arlara.blog.kataweb.it/2012/01/12/laboratorio-di-narrativa-pia-deidda-2/





giovedì 8 dicembre 2011

Fra le braccia di Cibele (8)

Fra le braccia di Cibele (8)

Per chi come me guardando il verde si rilassa, entra in sintonia con il Creato e la propria psiche, si ritaglia angolini di Eden...

Consiglio la lettura del libro di Serena Dandini "Dai diamanti non nasce niente. Storie di vite e di giardini".

mercoledì 7 dicembre 2011

Cosa dicono i lettori di "E CANTAVAMO ALLA LUNA" di Pia Diedda

COSA DICONO I LETTORI DI

"E CANTAVAMO ALLA LUNA"


Paola Sacco

Ancora una volta Pia Deidda ammalia i suoi lettori in modo suggestivo con la sua prosa fresca e poetica. Benché la storia si faccia affrettata verso la fine, carpita dalla velocità, la scrittrice accompagna, con immensa grazia, i suoi lettori in un intreccio ben lontano dai nostri tempi (...forse troppo eterea la sacerdotessa!?!). E tutti, lettori curiosi del dopo, rimangono piacevolmente impigliati nella purezza descrittiva della natura sarda. Un paesaggio, composito, a volte accogliente, altre poco incline nei confronti dell'uomo ma sempre misterioso e intrigante. E la prosa? La prosa funge da guida nello scorrere delle pagine e, come briosa sorgente, rinfranca piacevolmente il lettore.

Magico e surreale s'incastonano in perfetta simmetria con il reale della storia proposta. Pia, grazie perché nutri di sogni le nostre letture.


Elda Mari

Ciao, Pia, ho letto il tuo romanzo E CANTAVAMO ALLA LUNA e devo dirti che me lo sono goduto dalla prima all'ultima pagina: è una piccola filigrana letteraria, tessuta tra storia, mito e fantasia con la grazia di una fiaba, con piacevoli e leggeri voli descrittivi dei paesaggi in cui si svolge. Bello.

Giusi Ginatempo

Ho letto il libro tutto d'un fiato, ne sono rimasta affascinata, sia dal personaggio femminile che dai paesaggi incantati. Non so se è una mia proiezione, ma ho visto questo istinto di vita portato avanti dalle donne, che resiste in tutti i modi alla violenza della guerra, di cui sono portatori gli invasori, anche se il personaggio del console romano è apprezzabile perchè ricco proprio di istanze contraddittorie e per il suo legame con la cultura greca...

A quando il prossimo?

Angela Mulas

Ciao Pia.....ho comprato e letto il tuo libro.....E cantavamo alla luna!!!! Complimenti mi e' piaciuto tantissimo....Buona serata*_*!!!!!!!

Anna Nosotti

Ho letto con attenzione il tuo ultimo libro. L'ho poi lasciato "decantare" ( come si fa col vino prezioso) e

l'ho rivisto nelle parti salienti ieri sera. Mi è piaciuto, molto più degli altri due: bella la mescolanza

tra storia e mito, belli i diversi registri linguistici, interessanti e vivi i personaggi. Inoltre, certe ingenuità

degli altri due romanzi sono quasi sparite del tutto. Permangono a volte nel linguaggio: è giusto che questo

sia epico-evocativo-favolistico, ma occorre, a mio giudizio, un pò più di rigore.

Nel titolo poi avrei evitato il "e " iniziale ( che fa tanto Cronin:"E le stelle stanno a guardare"): senza, il titolo è MOLTO più incisivo.

Ho risposto ad Anna ringraziandola ma precisando sul titolo al quale sono legata in modo particolare:

Per quanto riguarda invece il titolo ti devo dire che è nato prima il titolo e poi lo scritto (così come per Rubia e L'ultima jana). Doveva essere E NOI CANTAVAMO ALLA LUNA, ma poi tolsi il “noi” e lo lasciai intuire. Quella E ha un significato simbolico proprio di congiunzione: noi sardi “di oggi” uniti/congiunti al ieri in una ricerca d'identità. Il finale con Airam e Ineles non è l'epilogo.

Al Bosco Seleni non solo loro ma (anche) noi cantavamo alla luna.

So che sembra assurdo fra bolli filatelici dell'Unità d'Italia, centocinquantenari e simili. Ma noi sardi abbiamo bisogno oggi più che mai che non venga dispersa questa eredità.

Ma il discorso è lungo...

Stefania Loddo Lai

E cantavamo alla luna è uno splendido aereo di carta , magico e indistruttibile per volare sui nostri luoghi ed entrare nella leggenda ... grazie !!

Graziella Deplano

Ho recentemente visitato il "Selene" ed ho rivissuto l'atmosfera del tuo romanzo...in particolare ho sentito la presenza di Airam, la sacerdotessa....!! Bellissimo, mi è piaciuto molto..complimenti !!!

Rosalia Russo

La storia mi ha un po' solcata dentro. Ho ritrovato degli echi lontani di radici che non credevo di avere (ad esempio il culto della luna, sul quale so alcune storie/leggende). Poi come lettura è capitata in un momento particolare, in cui stavo elaborando una teoria tutta mia per la quale in realtà non mi sento abbastanza sarda e ne soffro. Questa tua storia mi ha in un certo senso fatto riflettere, mi ha fatto sentire legata alla mia terra anche se il mio sangue è misto: dopotutto Ineles è figlia di un romano, chissà di quale provincia. Eppure è la custode del patrimonio religioso del popolo sardo...

Claudia Zedda (autrice di Creature fantastiche in Sardegna)

Ciao Pia, ieri notte ho finito di leggere il tuo "E cantavamo alla luna". E' molto coinvolgente! Rende il passato antico cosa viva, e al lettore consente di muovercisi dentro, a proprio piacere. Complimenti.

Antonella Sica

Ciao Pia volevo dirti che ho letto E CANTAVAMO ALLA LUNA!! L'ho letto in vacanza in Sardegna nella meravigliosa spiaggia di Foxilioni!! L'ho trovato bellissimo e me lo sono ... divorato in pochi giorni! Complimenti!

Walter Curreli

Grande Pia! Ho letto il tuo libro. Sei stata proprio brava a descrivere le sensazioni che gli ultimi nuragici hanno provato quando sono arrivati i primi colonizzatori romani. Airam la sacerdotessa predisse bene: l'orda di uomini avidi non si sarebbe fermata lì...

Lucilla Trapazzo (attrice)

Pia , ho ovviamente letto il tuo libro e la cosa che mi è piaciuta di più è stato lo stile narrativo, l'alternanza tra capitoli più elegiaci e di ampio respiro e quelli solo di dialoghi, un modo efficace per avanzare l'azione velocemente pur se in modo profondo.

Stefania Loddo Lai

Sto leggendo la storia di Airam e percorro il bosco con la mente ... sono dentro anche io .... mi piace ... :-)

Antonietta Naitza

Ho appena finito di leggere "E CANTAVAMO ALLA LUNA". Delizioso,storia delicata, con un ritmo tutto particolare che a parer mio si presterebbe anche ad una rappresentazione teatrale...Nella lettura percepivo il ritmare del ballo sardo, per non parlare poi della descrizione del paesaggio che mi ricorda zone conosciute e a me care....Complimenti.

Antonio Sale

Pia, sto rileggendo il tuo libro. Lo trovo meraviglioso; ci racconti con Airam un pezzo della nostra storia con grande umanità.

Natascia De Leo

Finitoooooo!!! Bellissimo e magico... E' il "profumo" della forza delle donne sarde, siano esse umane che janas, è sempre così intenso, anche in questa tua ultima perla. Brava Pia!

E quando tra qualche giorno rivedrò i miei Scogli Rossi ripenserò a "quel" romano e gli dirò "Non parlo di forza, romano. Parlo di unità. Non abbiamo un esercito, non abbiamo strategie militari. Io parlo di unità di popolo. Parlo di una sua unica identità."

Evviva il Popolo Sardo! W la nostra Sardegna!

Valeria Corradi

L'ho appena finito di leggere! Bello!

Rosy Aresu

Sono nel bosco e vago leggiadra pensando a te Pia e a chi il bosco lo ha vissuto millenni fa, e nel bosco ha trovato fonte per i suoi meravigliosi scritti.

E ancora:

"Mare e montagna,presenze inscindibili di quest'isola,che si fondono insieme. Sul cuscino prese anche una fibbia d'argento e corallo finemente lavorata. Rappresentava la Luna su un cielo costellato di stelle": dal libro di Pia Deidda "E cantavamo alla luna", tutto ciò che noi siamo come popolo, scritto magnificamente da Pia, che in questo racconto riesce a far rivivere in chi lo legge un culto antico ,che esalta ciò che oggi siamo come popolo, Airam, che rappresenta il sentimento, il carattere, la nostra interiorità, Airam che ha dentro di sé i caratteri delle donne di Sardegna. Grande Pia riesce sempre a creare con i tuoi libri una magia antica, grazie!

Fai rinascere sentimenti sopiti,travolti dalla quotidianità, riesco a uscire dal quotidiano leggendoti e mi sembra di rivivere nelle vesti dei tuoi personaggi, non riesco a non mettere per iscritto ciò che trabocca quando mi avventuro nel tuo mondo; scrivo pure male, sembra che una forza sconosciuta mi faccia scrivere velocemente, quasi per non lasciare sfuggire ciò che provo e che vorrei non svanisse, scrivendo riesco a sentirlo mio.

Sto centellinando il tuo libro, non ho finito di leggerlo, ne leggo alcune pagine e poi lo ripongo, mi piace leggerlo piano piano.

Paolo Cara

"E cantavamo alla Luna", ...

Anche qui Ti sei dimostrata grandissima, poiché nello scorrere della lettura, mi sono immerso nel tempo e nei luoghi da Te descritti con meravigliosa maestria.

Ho percepito le forti vibrazioni durante le Meditazioni di Airam, con l'aspetto Divino della Luna, e Tu sai quanto io senta forte il culto della Grande Madre, un qualcosa che è risvegliato in me, un qualcosa che da sempre percepisco, un qualcosa di cui sono consapevole che altro non è, che l'Amore Materno di Dio.

La descrizione dei boschi, delle rocce, del mare, del cielo e della luna, sono descrizioni ricche di divinazione e devozione.

Tu hai il grande dono nel descrivere con maestria la bellezza che percepisci, così da far vivere ciò che scrivi al lettore che sa immergersi in maniera profonda nell'incanto, grazie all'Amore Divino presente in ogni essere umano.

Grazie carissima Pia di quest'altra grande perla che hai regalato all'umanità intera.

La storia, la grande storia del Popolo Sardo, grazie anche a Te, vivrà in eterno, poiché con questi Tuoi racconti, altro non fai che tramandare di generazione in generazione, la nostra antica storia, il nostro antico culto e la forza di grande e infinito Amore che vive in ogni nostro cuore.

Colei che è il Puro Desiderio di Dio, Colei che è la Creazione, Colei che quotidianamente ci dona il Suo Eterno Amore, in eterno Ti Benedirà.

Un abbraccio forte e ricco di fraterno affetto da parte mia, che Ti stimo infinitamente.

Paolo.

Isabella Soverino

Ho finito E cantavamo alla luna semplicemente stupendo!

Ho trovato il romanzo molto coinvolgente nell'insieme: dalla descrizione del paesaggio marino della Sardegna alla vicenda storica. E' molto bello e poi come sempre c'è coraggio e amore nella vicenda.

Mario Casagrande (autore del "Palloncino bianco")

Oggi ho terminato di leggere il romanzo" E cantavamo alla luna" Una storia davvero tenera, ricca di amore per la propria terra!! Come sempre, Pia Deidda ha dato il meglio, mi ha letteralmente affascinato con i suoi storici personaggi!!!! (Quinto Cornelio e in modo particolare Airam che mi ha conquistato) Grazie a Pia Deidda per avermi dato la possibilità di leggere questa stupenda storia... Ancora COMPLIMENTI!!!!!!

Laura Contaldi

Ho terminato la lettura di "E cantavamo alla luna". Come sempre Pia riesce ad incantarmi con i suoi libri in cui storia, fiaba e leggenda si uniscono per dar vita ad un racconto che è un omaggio alla sua terra ,alle sue origini, alle sue tradizioni.

La lotta del popolo sardo contro i romani fu veramente caparbia. Essi non volevano assolutamente sottostare alla trasformazione radicale della loro civiltà e dei valori morali cui voleva sottoporli il dominio romano.

Airam, sacerdotessa di un antico culto lunare, si oppose con tutte le sue forze a Quinto Cornelio, comandante romano, e il dialogo tra loro è tra le pagine più belle.

Un libro al femminile, scritto egregiamente, brava Pia!

Loredana Cuccu

E' una fusione di magia, storia antica, ma sempre attuale e natura.

E' profumi e sapori.

E' tradizioni, radicate nel tempo, inserite in un mondo “divino” che sembra tanto lontano, ma è stato tramandato.

E' quel ballo tondo reso mistico.

E' speranza nel domani che vince sulla crudeltà.

E' una donna caparbia, come le sarde riescono a essere spesso...e tanto bene.

E' amore per la terra sarda e il suo popolo.

E' quel “saremo altro”...”siamo già altro da tempo”.

(...)

Mi piace come hai descritto la sofferenza di questa divinità, tanto umana in questo suo desiderio [avere una figlia n.d.r].

E tutte le tradizioni raccontate nella realtà di questo popolo...pensavo a una persona “continentale” che non conosce così bene l'isola e magari si perde la magia del confronto, del pensare “ma sta parlando di...” “ma questo è...”.

Pia, sai che si vede davvero quanto sei legata all'Ogliastra?! Ma ti è mai venuta voglia di ritornare lì? O ti accontenti di riviverla quotidianamente nella tua realtà e nei tuoi libri?

Federico Deidda: ho letto «E cantavamo alla luna» e l'ho trovato molto bello. E' scritto benissimo.

L'idea di affidare a una donna le sorti del popolo è azzeccatissima. Alcune pagine sono bellissime, mi riferisco soprattutto al dialogo di Airam con Quinto Cornelio e dove descrivi l'incalzare della violenza subita dalle donne a opera dei romani. L'idea di romanzare la nostra storia è talmente indovinata e la tua prosa è talmente efficace che mi sono trovato alla fine, e non ci potevo credere, che non ci fossero altri fogli. Sarebbe perfetto se tu mi confermassi che questo è solo il primo capitolo, e che ne seguiranno almeno altri 11! (...) C'è fame di storie nuove, di saghe mai lette e quella del nostro popolo la devi scrivere tu, si sente che l'ami profondamente.

lunedì 5 dicembre 2011

Poesia di Pia Deidda, Omaggio ad Edvard Munch, (Melanconia 1891)


OMAGGIO AD EDVARD MUNCH (Melanconia, 1891)

Urla deformanti di angoscia esistenziale

mi hai sempre offerto, fra bestemmie e silenzi,

uomo di questi spazi immensi.

Ti ritrovo in questa immota spiaggia,

dove il freddo s'insinua forte e potente,

fiordo dell'anima, solitario luogo.

L'inverno vi riveste muti pensieri

scavando interiormente, oggi e sempre,

una implacabile malinconia.


© Pia Deidda 2011

sabato 3 dicembre 2011

Lezione creativa n.1

LEZIONE CREATIVA n.1

DIALOGO SOPRA UNO DIPINTO MEDIEVALE

- Guarda, che grande affresco!

- In questa grande sala.

- Peccato non si sia conservato bene tutto...

- Già, peccato! Si sarebbe potuto vedere nella sua interezza!

- E già, si sarebbe capita meglio tutta l'allegoria.

- Però metà si vede bene e anche la parte centrale.

- Sì, guarda, ci sono tanti particolari, tante scene, tanti soggetti...

- E guarda bene cosa fanno...

- Vivono

- Sì, vivono, ma come?

- Bisogna capire osservando bene

- E sì, dobbiamo interpretare bene il soggetto

- Sì, bisogna interpretare bene il messaggio

- E' un messaggio importante

- Strano, non è religioso

- Già per l'epoca in cui è stato fatto è strano che non sia religioso

- Sto pensando a una cosa...

- Cosa? Dimmi...

- Se fosse ambientato al giorno d'oggi tu cosa pensi ci sarebbe rappresentato?

- Oh! Sarebbe attualissimo! In questo momento poi...

PRIMA FASE: Individua il dipinto

SECONDA FASE: Cerca il dipinto e fai una lettura iconologica

TERZA FASE: E se fosse realizzato oggi? Dove e come lo rappresenteresti?