martedì 5 gennaio 2010
Per ricordare Teresa Sarti
Nel numero di Dicembre 2009 di EMERGENCY ci sono molti articoli di amici e conoscenti di Teresa Sarti che parlano di lei. Ho scelto quello della figlia Cecilia. Un omaggio ad una grande donna.
Sono Cecilia, la figlia di Teresa. In questi ultimi quindici anni tutti quelli che mi incontrano mi dicono: «Ma tu sei la figlia di Gino?». lo rispondo di solito: «Ho anche una mamma». Per quelli che mi conoscono poco sembra una battuta, ma sotto c'è di più.
Avrei voluto prepararmi in questi giorni qualche cosa da dire, ma sono stata immersa fino alle ginocchia nell' amore che tutti provate per
Teresa e quindi non ho neanche avuto il tempo di pensarci. Vi dico due cose che mi vengono così. ..
Oggi, ieri, qualche giornalista mi ha chiesto un ricordo di Teresa.
Un ricordo di Teresa? Abbiamo vissuto trent'anni insieme, non ho un ricordo, ne ho troppi per tirarne fuori uno solo. La mia mamma è la mia mamma, è quella che mi ha insegnato a fare la zuppa di cipolle, che "qual è" si scrive senza apostrofo; mi ha insegnato ad ascoltare gli altri, mi ha insegnato che magari con un'urlata di meno e un'attenzione di più si ottengono i risultati migliori. Mi ha insegnato le figure retoriche, ha cercato di insegnarmi a non farmi i nodi nei capelli - non c'è riuscita, come sapete - e mi ha dato talmente tanto che non posso dire.
Mi ha insegnato anche che cos'è la guerra, e me l'ha insegnato molto prima di Emergency. Me l'ha insegnato quando ero piccina, leggendo Bertolt Brecht, che lei amava moltissimo. Lo faceva leggere ai suoi studenti: probabilmente lo sapete, mia madre ha insegnato per trent'anni prima di dedicarsi anima e corpo a Emergency, e a tutti rifilava Brecht. Ovviamente l'ha rifilato anche a me.
Allora volevo citarvi un paio di cose, che sono quelle con cui mi ha cresciuto, quelle con cui aveva cominciato a farmi capire com'è il mondo là fuori, e che poi ho ritrovato quando abbiamo cominciato a andare a trovare papà, in Pakistan, in quel famoso «mia figlia Cecilia aveva nove anni quando ... ».
Una delle mie preferite era "Mio fratello aviatore"
Avevo un fatello aviatore.
Un giorno, la cartolina.
Fece i bagagli, e via, lungo la rotta del sud.
Mio fatello è un conquistatore.
Il popolo nostro ha bisogno di spazio;
e prendersi terre su terre, da noi, è un vecchio sogno.
E la terra che s'è conquistato
sta sulla Sierra di Guadarrama.
È di lunghezza un metro e ottanta,
uno e cinquanta di profimdità.
Mi aveva raccontato questa poesia, io avrò avuto credo cinque o sei anni. Ci avevo messo un momento a capire: «un metro e ottanta, uno e cinquanta di profondità». E poi mi aveva fatto un discorso che suonava così: «se la guerra è così stupida per i soldati, quanto è stupida e inumana per quelli che non hanno neanche scelto di farla?»
E allora mi leggeva un'altra poesia:
La guerra che verrà non è la prima.
Prima ci sono state altre guerre.
Alla fine dell'ultima c'erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente faceva la fame.
Fra i vincitori faceva la fame la povera gente ugualmente.
E così parlavamo di qual è l'effetto della guerra su chi la subisce. Poi, in questi quindici anni, tutti noi immersi in quel mondo lì. .. è proprio come la raccontava Brecht.
C'è un' altra poesia che lei amava tantissimo, "Domande di un lettore operaio".
Sostanzialmente Brecht si chiede: «Tebe dalle Sette Porte chi è che l'ha costruita? Perché ci sono i nomi dei re dentro ai libri? Ma sono stati i re a trascinare quei blocchi di pietra? E dove sono andati la sera che fu terminata la grande muraglia i muratori? Il giovane Alessandro conquistò l'India: da solo? Cesare conquistò i Galli. Non aveva con sé nemmeno un cuoco? Chi cucinò la cena della vittoria?»
Un'altra domanda potrebbe essere: perché vi sto raccontando questo? Perché in questi quindici anni, da noi, chi ha cucinato la cena della vittoria è sempre stata mamma.
Penso che dobbiamo andare avanti, come hanno detto tutti: come e meglio di prima. Lo dobbiamo a lei. La sua preoccupazione in questi due anni di malattia era: «Che cosa faranno i miei ragazzi, i miei volontari, i miei amici, i miei colleghi ... non sarà troppo pesante la mia assenza?».
Poi vi guardava, leggeva le vostre mail, leggeva i vostri messaggi, sentiva i racconti di chi andava a trovarla e si è detta: «Terranno botta, ce la faranno, andranno avanti come e meglio di prima».
Gliel'ho garantito fino all'ultimo giorno: non fatemi mancare la promessa.
CECILIA STRADA
Ringrazio mio figlio Pier Giorgio per avermi fatto conoscere EMERGENCY
Sono Cecilia, la figlia di Teresa. In questi ultimi quindici anni tutti quelli che mi incontrano mi dicono: «Ma tu sei la figlia di Gino?». lo rispondo di solito: «Ho anche una mamma». Per quelli che mi conoscono poco sembra una battuta, ma sotto c'è di più.
Avrei voluto prepararmi in questi giorni qualche cosa da dire, ma sono stata immersa fino alle ginocchia nell' amore che tutti provate per
Teresa e quindi non ho neanche avuto il tempo di pensarci. Vi dico due cose che mi vengono così. ..
Oggi, ieri, qualche giornalista mi ha chiesto un ricordo di Teresa.
Un ricordo di Teresa? Abbiamo vissuto trent'anni insieme, non ho un ricordo, ne ho troppi per tirarne fuori uno solo. La mia mamma è la mia mamma, è quella che mi ha insegnato a fare la zuppa di cipolle, che "qual è" si scrive senza apostrofo; mi ha insegnato ad ascoltare gli altri, mi ha insegnato che magari con un'urlata di meno e un'attenzione di più si ottengono i risultati migliori. Mi ha insegnato le figure retoriche, ha cercato di insegnarmi a non farmi i nodi nei capelli - non c'è riuscita, come sapete - e mi ha dato talmente tanto che non posso dire.
Mi ha insegnato anche che cos'è la guerra, e me l'ha insegnato molto prima di Emergency. Me l'ha insegnato quando ero piccina, leggendo Bertolt Brecht, che lei amava moltissimo. Lo faceva leggere ai suoi studenti: probabilmente lo sapete, mia madre ha insegnato per trent'anni prima di dedicarsi anima e corpo a Emergency, e a tutti rifilava Brecht. Ovviamente l'ha rifilato anche a me.
Allora volevo citarvi un paio di cose, che sono quelle con cui mi ha cresciuto, quelle con cui aveva cominciato a farmi capire com'è il mondo là fuori, e che poi ho ritrovato quando abbiamo cominciato a andare a trovare papà, in Pakistan, in quel famoso «mia figlia Cecilia aveva nove anni quando ... ».
Una delle mie preferite era "Mio fratello aviatore"
Avevo un fatello aviatore.
Un giorno, la cartolina.
Fece i bagagli, e via, lungo la rotta del sud.
Mio fatello è un conquistatore.
Il popolo nostro ha bisogno di spazio;
e prendersi terre su terre, da noi, è un vecchio sogno.
E la terra che s'è conquistato
sta sulla Sierra di Guadarrama.
È di lunghezza un metro e ottanta,
uno e cinquanta di profimdità.
Mi aveva raccontato questa poesia, io avrò avuto credo cinque o sei anni. Ci avevo messo un momento a capire: «un metro e ottanta, uno e cinquanta di profondità». E poi mi aveva fatto un discorso che suonava così: «se la guerra è così stupida per i soldati, quanto è stupida e inumana per quelli che non hanno neanche scelto di farla?»
E allora mi leggeva un'altra poesia:
La guerra che verrà non è la prima.
Prima ci sono state altre guerre.
Alla fine dell'ultima c'erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente faceva la fame.
Fra i vincitori faceva la fame la povera gente ugualmente.
E così parlavamo di qual è l'effetto della guerra su chi la subisce. Poi, in questi quindici anni, tutti noi immersi in quel mondo lì. .. è proprio come la raccontava Brecht.
C'è un' altra poesia che lei amava tantissimo, "Domande di un lettore operaio".
Sostanzialmente Brecht si chiede: «Tebe dalle Sette Porte chi è che l'ha costruita? Perché ci sono i nomi dei re dentro ai libri? Ma sono stati i re a trascinare quei blocchi di pietra? E dove sono andati la sera che fu terminata la grande muraglia i muratori? Il giovane Alessandro conquistò l'India: da solo? Cesare conquistò i Galli. Non aveva con sé nemmeno un cuoco? Chi cucinò la cena della vittoria?»
Un'altra domanda potrebbe essere: perché vi sto raccontando questo? Perché in questi quindici anni, da noi, chi ha cucinato la cena della vittoria è sempre stata mamma.
Penso che dobbiamo andare avanti, come hanno detto tutti: come e meglio di prima. Lo dobbiamo a lei. La sua preoccupazione in questi due anni di malattia era: «Che cosa faranno i miei ragazzi, i miei volontari, i miei amici, i miei colleghi ... non sarà troppo pesante la mia assenza?».
Poi vi guardava, leggeva le vostre mail, leggeva i vostri messaggi, sentiva i racconti di chi andava a trovarla e si è detta: «Terranno botta, ce la faranno, andranno avanti come e meglio di prima».
Gliel'ho garantito fino all'ultimo giorno: non fatemi mancare la promessa.
CECILIA STRADA
Ringrazio mio figlio Pier Giorgio per avermi fatto conoscere EMERGENCY
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2 commenti:
Ogni grande uomo non potrebbe esserlo senza l'apporto di una donna. La propria compagna, di solito, ma anche una sorella, un'amica, una madre.
Teresa era l'altro ramo di Gino, Cecilia è il nuovo germoglio di quest'albero meraviglioso che ha sparso semi di giustizia e - perché no? - di bellezza in questo mondo. In quei luoghi di questo mondo dove la bellezza è sepolta sotto macerie, stupidità, avidità, ferocia.
Cara Cecilia,
non ti conosco così come non conosco nulla di te e della tua famiglia. Personalmente, intendo.
Ma so, da figlia privata brutalmente di un genitore, che l'Amore non muore. E sopravvive, talvolta, in una zuppa di cipolle. La zuppa, come ognun sa, riscalda il cuore.
Ti abbraccio,
Sabrina
Parole molto belle! Grazie Sabrina
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