lunedì 30 marzo 2020

Tempi di coronavirus e scuola: ma c'è tutta questa fretta della valutazione di fine anno scolastico?

Tempi di coronavirus e scuola: ma c'è tutta questa fretta della valutazione di fine anno scolastico?

Alla ministra Azzolina,
e all'attenzione dei dirigenti scolastici e dei colleghi di tutta Italia.
È vero la scuola va avanti, sostenuta dalla volontà e dal senso civico di noi docenti. Docenti che si sono prodigati a capire e far partire la DAD. Anche il Ministero ha stanziato dei fondi per dotare gli allievi, economicamente più svantaggiati, di un supporto hardware e garantire, mediante contratti con società informatiche, la fruizione di piattaforme di videoconferenza ai docenti.
Chiedo però un momento di reale, pragmatica, riflessione, dopo più di un mese di DAD, in questa fase in cui siamo chiamati a valutare i nostri studenti e a pensare strategie che siano programmate a livello nazionale e non ad opera delle singole scuole e dei loro collegi docenti.
L'Italia ha una efficiente e democratica scuola pubblica ma la DAD sta mettendo in risalto le differenze che, in questo particolare caso, non sono solo sociali, ma legate alle reali possibilità della nostra rete informatica. Detto con semplicità: la connessione non ci sta rendendo tutti uguali. Rete di distribuzione già in sovraccarico per le cambiate modalità lavorative e di abitudini di tanti italiani.
In una stessa classe, pur avendo i dispositivi informatici adeguati (computer, tablet, cellulari), la connessione non è uguale per tutti. E non solo per gli allievi, ma, anche per gli stessi docenti.
Lo testimonia una riunione fra colleghi a cui ho partecipato, alla presenza del dirigente, in cui la voce arrivava asincrona rispetto all'immagine, sovente il collegamento si bloccava, o si disconnetteva.
Ora, mettiamoci nei panni dei nostri studenti e studentesse, alcuni peraltro già colpiti in famiglia dal coronavirus, e quindi in condizioni psicologiche e umane non serene, che in più partecipano alla DAD con connessioni che non rendono tutti uguali e non danno a tutti le stesse opportunità di presenza e costante partecipazione.
Offro solo una testimonianza di una conoscente, docente in Sardegna, che mi rispondeva su facebook:"Ho un’alunna che segue le videolezioni nell’abitacolo della macchina del padre parcheggiata sotto casa, perché è il posto dove la connessione arriva meglio al cellulare e dove non è disturbata da fratelli e genitori". Parole che mi commuovono profondamente.
Allora faccio mia, da questa pagina di Facebook, una proposta del sindacato di base CUB di cui allego il documento: non si abbia fretta nella valutazione annuale, congeliamo i voti e l'anno prossimo li accorpiamo alla classe successiva.
So che in molti diranno che si creerebbero tante problematiche; una fra tutte la situazione dei docenti precari che non potrebbero essere presenti allo scrutinio. Ma, così come facciamo con i crediti del triennio di scuola superiore, che vengono conteggiati tutti gli anni e trasformati in un numero che verrà sommato insieme agli altri, così si potrà trovare una strategia per congelare i voti di questo anno scolastico.
Anno scolastico inusuale e drammatico nella nostra storia scolastica.
La realtà che stiamo vivendo di giorno in giorno non è la normalità; adeguiamoci con elasticità e razionalità a questa situazione critica che impone dei cambiamenti strutturali. La scuola italiana statale è, e deve essere sempre, democratica e per tutti. Il coronavirus sta minando il diritto allo studio.
Augurandoci di poter tornare presto con i nostri studenti e le nostre studentesse nelle nostre insostituibili aule reali, la ringrazio per il lavoro che sta compiendo in questo difficile momento.
Un grazie anche ai tutti quei colleghi che, in una situazione di emergenza, sono andati oltre i propri obblighi contrattuali; e un saluto a tutti coloro che operano nella scuola e mi leggeranno in queste righe che affido a Facebook. Buon lavoro!
Pia Deidda,
docente di una scuola statale italiana torinese



giovedì 19 marzo 2020

L'ultima jana al tempo del Coronavirus

In questo momento così difficile ieri mi sono arrivati due messaggi su Facebook da due donne che hanno approfittato di queste ore di obbligato fermo per leggere "L'ultima Jana".

Cicytella diventa così, nuovamente, medicina per l'anima. Anche per me.

Sono felice se Cicytella diventa medicina dell'anima. Penso sia nata per questo 🌹

Scrive Maddalena Senis:
Oggi al tempo del "corana virus" vi vorrei narrare di un libro sereno che ho letto e che parla di fate quelle fate che da noi in Sardegna chiamiamo 'Janas' . E' strano che abbia deciso di leggerlo o meglio destino che lo prendessi in mano dopo tanto tempo in mio possesso e che non riuscivo più a leggere nulla..per motivi che in questo momento non è necessario che vi racconti...casualmente in questi giorni di quarantena forzata è tornato sotto i miei occhi e nelle mie mani. La scrittrice si chiama Pia Deidda e il titolo è "L'ultima Jana" lei vive in continente ma questo libro a me ha suscitato emozioni e vi consiglio di leggerlo. Trattasi di una fiaba ambientata in una zona della Sardegna nel periodo medievale ...e scritta nel 2008, ho estrapolato uno dei capitoli per poterlo condividere con tutti voi perché lo vedo attuale in questo momento. Per gli altri capitoli spero nella vostra curiosità e lo compriate. In questo capitolo la nostra Jana ha suscitato emozioni miste a romantiche riflessioni, bricioli di speranza e di vita da vivere, una scrittura semplice scritta con amore che si sposa con questo periodo di confusione. la mia fantasia ha preso il sopravento pensando a questa piccola Jana ribelle e dai tratti umana che ha condiviso con gli umani le sue ricette miracolose per salvare un intero paese colpito da una sorta di "virus". la fantasia la nostra realtà e la fiaba....
Se volete sognare contattate la scrittrice che vive oltremare io mi sono permessa senza chiederle il permesso sperando che capisca cosa ha suscitato in me il suo libro. La ringrazio dal profondo del cuore e auspico che molti vogliano fantasticare in compagnia di: L'ultima Jana' creature di fantasia di cui vengono narrate in tutta la nostra isola le loro storie e dispetti che erano solite fare...agli umani.
Narriamo tutti di un libro che ci ha emozionato e reso la quarantena meno terribile con la speranza di poter vivere presto altri momenti di serenità e condivisione sociale.


https://www.facebook.com/missmadda/posts/10215934568507538?comment_id=10215940322931395&notif_id=1584606733182466&notif_t=feedback_reaction_generic_tagged

Scrive Marica:
PPia<3 span=""> "bellissimo il tuo libro... la lettura mi sta aiutando e tu hai contribuito."

Sono felice se Cicytella diventa medicina dell'anima. Penso sia nata per questo 🌹

Vi regalo uno stralcio del capitolo 7 dove si parla della jana Cicytella, del suo desiderio di aiutare gli umani e farli guarire dalla malattia portata da uno strano virus.



Quando arrivò in paese sentì una triste campana che cadenzava
ritocchi lenti, uguali, mesti. Si nascose sull’albero della
piccola piazza del paese e aspettò che la presenza di qualche
umano svelasse il mistero di quel suono sinistro. Arrivarono un
gruppo di donne vestite di nero e bussarono ad una porta. Una
volta entrate si sentirono dei lamenti, una nenia lenta, uguale,
triste, come i ritocchi della campana. Una donna piangeva più
forte fra tutte. Ogni tanto il pianto diveniva un urlo lancinante.
«Cosa sta succedendo?». Cicytella non capiva.
Dalla chiesa uscì il prete seguito da un chierichetto che
portava un turibolo fumante d’incenso. Si diressero con passo
lento e strascicato all’interno della casa. I pianti divennero urla
strazianti. Da tutte le case del paese arrivarono i compaesani vestiti
di nero e aspettarono fuori dalla porta. Solo quattro di loro
entrarono e ne uscirono reggendo una piccola cassa di legno. Si
formò una processione che entrò in chiesa preceduta dal prete e
dal chierichetto.
Cicytella volò e si aggrappò al piccolo rosone della facciata;
riuscì così a vedere l’interno e sentire quello che era accaduto.
Il prete dal presbiterio pregava per quel povero bambino
che la Morte si era portato via in Paradiso. Il piccolo Efi sino
non aveva retto alla febbre alta e alle convulsioni di una strana
malattia che stava colpendo molti di loro. Quella preghiera non
era fatta in latino, l’aulica lingua, ma in lìmba sarda. Il Signore
conosceva anche il sadalese, era cosa risaputa da tutti.
Il pensiero di Cicytella andò subito a Giorgìnu e il cuore
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fece un tuffo. La mamma che piangeva non era la mamma di
Giorgìnu. La casa da dove era uscita la processione funebre non
era quella di Giorgìnu. Ma Mariedda, la mamma di Giorgìnu,
non era in chiesa con le altre umane. Si staccò all’istante dal
rosone e volò rapida dirigendosi verso la casa più povera, una
stamberga di assi di legno e argilla costruita fra le rocce, posta
nella parte più alta del paese di Sàdali. Volando sbandava e più
volte sbatté contro le grondaie e gli spigoli delle case che incontrava
lungo il percorso. Arrivò alla casa di Giorgìnu con qualche
livido che macchiava la sua candida pelle.
L’unica stanza che componeva la casa era anche stalla per
un asinello vecchio, spelacchiato e curvo dagli anni. Al centro
dell’ambiente c’era un focolare rotondo che spandeva un fumo
acre nell’ambiente. Una vecchia con un paiolo basso di rame
toglieva il malocchio alternando sputi, sopra la cenere sparsa sul
pelo dell’acqua, a scongiuri fatti in una lingua incomprensibile
ma che richiamava ad un antico culto pagano. In un angolo una
donna era china sul giaciglio dove era coricato Giorgìnu, era
Mariedda. Il bambino tossiva forte ed era rosso in viso febbricitante.
Cicytella capì immediatamente di cosa si trattasse e volò
via senza indugio diretta verso il bosco.
Is janas sanno fare la giusta diagnosi e curare tutte le malattie,
gli umani no, morivano anche per una comune influenza
di quei tempi.
Cicytella era disperata ma nello stesso tempo sicura di
quello che avrebbe fatto. Arrivata nella grotta cercò nel suo cassone
la scatoletta di legno con su scritto “Helichrysum”. Era
vuota! Le sorelle si servivano sempre delle sue erbe ma non le
dicevano mai quando finivano. Si recò allora in cucina e prese
dell’olio, lo versò in un vasetto e vi mise dentro degli spicchi
di aglio spellato e tritato finissimamente. Prese anche del miele
di eucalipto e vi aggiunse della propoli. Mise tutto dentro un
cestino aggiungendovi anche delle arance tardive e dei limoni.
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Si stava apprestando ad andare via, quando ritornò indietro e
aggiunse dentro il cestino una brocca di latte fresco di capra e un
pane civàrgiu, il più grande di tutti.
Si vestì con abiti che sembravano molto simili a quelli
delle umane, si tolse su mantèllu rosso e ne prese uno nero. Si
mise anche su muccadòri nero. Doveva sembrare una di loro.
Passò vicino alle sorelle che erano intente a intrecciare fili di
asfodelo per fare larghe e piatte is cròbis. Non la degnarono
nemmeno di uno sguardo e lei ne fu contenta.