giovedì 19 marzo 2020

L'ultima jana al tempo del Coronavirus

In questo momento così difficile ieri mi sono arrivati due messaggi su Facebook da due donne che hanno approfittato di queste ore di obbligato fermo per leggere "L'ultima Jana".

Cicytella diventa così, nuovamente, medicina per l'anima. Anche per me.

Sono felice se Cicytella diventa medicina dell'anima. Penso sia nata per questo 🌹

Scrive Maddalena Senis:
Oggi al tempo del "corana virus" vi vorrei narrare di un libro sereno che ho letto e che parla di fate quelle fate che da noi in Sardegna chiamiamo 'Janas' . E' strano che abbia deciso di leggerlo o meglio destino che lo prendessi in mano dopo tanto tempo in mio possesso e che non riuscivo più a leggere nulla..per motivi che in questo momento non è necessario che vi racconti...casualmente in questi giorni di quarantena forzata è tornato sotto i miei occhi e nelle mie mani. La scrittrice si chiama Pia Deidda e il titolo è "L'ultima Jana" lei vive in continente ma questo libro a me ha suscitato emozioni e vi consiglio di leggerlo. Trattasi di una fiaba ambientata in una zona della Sardegna nel periodo medievale ...e scritta nel 2008, ho estrapolato uno dei capitoli per poterlo condividere con tutti voi perché lo vedo attuale in questo momento. Per gli altri capitoli spero nella vostra curiosità e lo compriate. In questo capitolo la nostra Jana ha suscitato emozioni miste a romantiche riflessioni, bricioli di speranza e di vita da vivere, una scrittura semplice scritta con amore che si sposa con questo periodo di confusione. la mia fantasia ha preso il sopravento pensando a questa piccola Jana ribelle e dai tratti umana che ha condiviso con gli umani le sue ricette miracolose per salvare un intero paese colpito da una sorta di "virus". la fantasia la nostra realtà e la fiaba....
Se volete sognare contattate la scrittrice che vive oltremare io mi sono permessa senza chiederle il permesso sperando che capisca cosa ha suscitato in me il suo libro. La ringrazio dal profondo del cuore e auspico che molti vogliano fantasticare in compagnia di: L'ultima Jana' creature di fantasia di cui vengono narrate in tutta la nostra isola le loro storie e dispetti che erano solite fare...agli umani.
Narriamo tutti di un libro che ci ha emozionato e reso la quarantena meno terribile con la speranza di poter vivere presto altri momenti di serenità e condivisione sociale.


https://www.facebook.com/missmadda/posts/10215934568507538?comment_id=10215940322931395&notif_id=1584606733182466&notif_t=feedback_reaction_generic_tagged

Scrive Marica:
PPia<3 span=""> "bellissimo il tuo libro... la lettura mi sta aiutando e tu hai contribuito."

Sono felice se Cicytella diventa medicina dell'anima. Penso sia nata per questo 🌹

Vi regalo uno stralcio del capitolo 7 dove si parla della jana Cicytella, del suo desiderio di aiutare gli umani e farli guarire dalla malattia portata da uno strano virus.



Quando arrivò in paese sentì una triste campana che cadenzava
ritocchi lenti, uguali, mesti. Si nascose sull’albero della
piccola piazza del paese e aspettò che la presenza di qualche
umano svelasse il mistero di quel suono sinistro. Arrivarono un
gruppo di donne vestite di nero e bussarono ad una porta. Una
volta entrate si sentirono dei lamenti, una nenia lenta, uguale,
triste, come i ritocchi della campana. Una donna piangeva più
forte fra tutte. Ogni tanto il pianto diveniva un urlo lancinante.
«Cosa sta succedendo?». Cicytella non capiva.
Dalla chiesa uscì il prete seguito da un chierichetto che
portava un turibolo fumante d’incenso. Si diressero con passo
lento e strascicato all’interno della casa. I pianti divennero urla
strazianti. Da tutte le case del paese arrivarono i compaesani vestiti
di nero e aspettarono fuori dalla porta. Solo quattro di loro
entrarono e ne uscirono reggendo una piccola cassa di legno. Si
formò una processione che entrò in chiesa preceduta dal prete e
dal chierichetto.
Cicytella volò e si aggrappò al piccolo rosone della facciata;
riuscì così a vedere l’interno e sentire quello che era accaduto.
Il prete dal presbiterio pregava per quel povero bambino
che la Morte si era portato via in Paradiso. Il piccolo Efi sino
non aveva retto alla febbre alta e alle convulsioni di una strana
malattia che stava colpendo molti di loro. Quella preghiera non
era fatta in latino, l’aulica lingua, ma in lìmba sarda. Il Signore
conosceva anche il sadalese, era cosa risaputa da tutti.
Il pensiero di Cicytella andò subito a Giorgìnu e il cuore
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fece un tuffo. La mamma che piangeva non era la mamma di
Giorgìnu. La casa da dove era uscita la processione funebre non
era quella di Giorgìnu. Ma Mariedda, la mamma di Giorgìnu,
non era in chiesa con le altre umane. Si staccò all’istante dal
rosone e volò rapida dirigendosi verso la casa più povera, una
stamberga di assi di legno e argilla costruita fra le rocce, posta
nella parte più alta del paese di Sàdali. Volando sbandava e più
volte sbatté contro le grondaie e gli spigoli delle case che incontrava
lungo il percorso. Arrivò alla casa di Giorgìnu con qualche
livido che macchiava la sua candida pelle.
L’unica stanza che componeva la casa era anche stalla per
un asinello vecchio, spelacchiato e curvo dagli anni. Al centro
dell’ambiente c’era un focolare rotondo che spandeva un fumo
acre nell’ambiente. Una vecchia con un paiolo basso di rame
toglieva il malocchio alternando sputi, sopra la cenere sparsa sul
pelo dell’acqua, a scongiuri fatti in una lingua incomprensibile
ma che richiamava ad un antico culto pagano. In un angolo una
donna era china sul giaciglio dove era coricato Giorgìnu, era
Mariedda. Il bambino tossiva forte ed era rosso in viso febbricitante.
Cicytella capì immediatamente di cosa si trattasse e volò
via senza indugio diretta verso il bosco.
Is janas sanno fare la giusta diagnosi e curare tutte le malattie,
gli umani no, morivano anche per una comune influenza
di quei tempi.
Cicytella era disperata ma nello stesso tempo sicura di
quello che avrebbe fatto. Arrivata nella grotta cercò nel suo cassone
la scatoletta di legno con su scritto “Helichrysum”. Era
vuota! Le sorelle si servivano sempre delle sue erbe ma non le
dicevano mai quando finivano. Si recò allora in cucina e prese
dell’olio, lo versò in un vasetto e vi mise dentro degli spicchi
di aglio spellato e tritato finissimamente. Prese anche del miele
di eucalipto e vi aggiunse della propoli. Mise tutto dentro un
cestino aggiungendovi anche delle arance tardive e dei limoni.
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Si stava apprestando ad andare via, quando ritornò indietro e
aggiunse dentro il cestino una brocca di latte fresco di capra e un
pane civàrgiu, il più grande di tutti.
Si vestì con abiti che sembravano molto simili a quelli
delle umane, si tolse su mantèllu rosso e ne prese uno nero. Si
mise anche su muccadòri nero. Doveva sembrare una di loro.
Passò vicino alle sorelle che erano intente a intrecciare fili di
asfodelo per fare larghe e piatte is cròbis. Non la degnarono
nemmeno di uno sguardo e lei ne fu contenta.


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