CUCIRO' LA BANDIERA DEL NUOVO RE
Margheritedda accettò quel compito con una punta di stizza e malcelato risentimento; subito, appena il messo inviato dal viceré di Cagliari si presentò quella mattina con la richiesta.
«Richiesta? Più un ordine che una richiesta!» aveva detto con un cenno di disappunto guardando negli occhi l'altezzoso uomo che, non sopportando lo sguardo linguacciuto della giovane donna, girò la testa di lato cercando di ignorare quello che aveva sentito.
«Benedette donne sarde» disse fra sé «che caratterino hanno!».
Margheritedda prese in mano il foglio con l'ordinanza che le porgeva il messo e si chiese se questi avesse la minima idea di cosa volesse dire essere sartina, analfabeta e donna in quel tempo e in quel luogo. «Ma la stupidità umana non ha confini né di tempo né di luogo» disse fra sé e tenendo per sé tutta l'acredine che covava nel cuore e nella pancia.
Appena l'uomo se ne andò via, altero nella sua divisa e con le spalle alzate in segno di contrarietà per avere avuto a che fare con quella donna così selvatica, la madre chiuse in fretta la porta sprangandola bene.
«Figlia mia, ma come puoi comportarti così davanti alla guardia? Lui sta svolgendo solo il suo lavoro e risponde solo a degli ordini!».
«Mamma ma non ti rendi conto cosa devo fare? Anzi, cosa mi obbligano a cucire?».
«E' solo una bandiera».
«Solo una bandiera? E' la bandiera piemontese mamma!».
«Figlia mia, cuore mio stimato, abbi pazienza. Tante ne abbiamo viste e tante ne vedremo ancora. E poi, pensa che orgoglio! Sei stata scelta dal nuovo Re perchè sei la sarta più brava di tutta la Sardegna!».
«Mamma mia come è facile piegarsi a chi ci comanda e ci sfrutta!».
«Margheritedda...».
«Basta ma'! Non ti preoccupare, cucirò questa bandiera. Sempre bianca, croce rossa al centro con i quattro mori e, questa volta, i simboli della casa Savoia al centro. Eccome se la cucio! La cucio ma', non ti preoccupare! Cucirò la bandiera del nuovo Re».
La donna si rasserenò, non erano certo quelli i tempi per ribellarsi; e poi, due donne sole come loro non potevano permetterselo. I governanti cambiano in questa terra e l'uno non è diverso dall'altro, la figlia era troppo giovane per comprenderlo. Mentre rimuginava fra sé prese l'involto racchiuso nella bianca tela di canapa che il messo aveva appoggiato sul tavolo vicino all'ordinanza reale e pensò che con quella si sarebbe potuto fare un bel lenzuolo. Aprì l'involucro con tutta la curiosità che aveva represso fino a quel momento.
«Mi' Margheritedda, guarda che stoffa! Ma è seta? Raso di seta, ma che bellezza: bianca, rossa, nera, ma anche gialla... E guarda che fili per cucire e ricamare! Si vede che è roba regale!».
Margheritedda si avvicinò e prese in mano le stoffe, ne soppesò la leggerezza. Una bella consistenza questo tessuto lucente, nato per resistere alla forza di questo nostro vento di Sardegna, pensò. Immaginò la sua bandiera sventolare dall'alto di una lunga asta posta sul grande bastione che dava verso il mare e osservata con orgoglio da tutta la cittadinanza lì presente a ricevere il nuovo Re in visita.
«Sarà una bella bandiera, mamma. Vedrai come sarà bella!».
La donna tirò un sospiro di sollievo; ora sì che poteva dormire tranquilla, sua figlia si era di colpo rinsavita.
Margheritedda si alzò presto il giorno dopo e si mise subito all'opera, non voleva perdere tempo; il lavoro che si apprestava a fare doveva essere molto accurato e le avrebbe richiesto un po' di giorni.
Prese l'involucro dove erano conservati stoffe e fili; all'interno c'era un rotolo di cartoncino, lo spiegò sul tavolo, era il disegno modello per la bandiera. Quel primo giorno l'avrebbe imbastita: croce rossa su campo bianco. Il giorno successivo l'avrebbe dedicato alla cucitura e gli altri a seguire al ricamo dei quattro mori e del simbolo sabaudo centrale.
Per chi cuce le giornate sono scandite dalla presenza della luce solare: all'accendersi del primo lume si smette. Non è solo la pratica del risparmio ad accompagnare questa consuetudine: ma perché gli occhi di una ricamatrice devono preservare una buona visione per tanti anni a venire.
E così le lunghe giornate di Margheritedda passavano silenziose all'interno della cucina, in quell'angolo sempre lindo e ordinato che le era stato concesso per condurre con serenità il suo lavoro.
Il messo arrivò il giorno stabilito per ritirare la bandiera, tutto doveva essere predisposto con solerzia e puntualità per l'arrivo del nuovo Re.
Margheritedda gliela porse con una riverenza cortese e l'uomo la guardò dubbioso.
«Guarda come è cambiata adesso che si prende i soldi», pensò prendendo il pacco contenente la bandiera e sporgendole con astio la sacchetta con le monete sonanti.
Margheritedda il giorno dell'arrivo del Re si vestì con l'abito più bello che avesse, l'abito della festa. Di quelle feste importanti che segnano il calendario liturgico con una croce d'oro. Se l'era preparato nei giorni inoperosi lasciati vuoti dalla mancanza di commissioni, cucito attentamente e ricamato altrettanto amorevolmente. Il suo era sempre un lavorare pignolo e appassionato.
«Beato l'uomo che ti sposerà» le dicevano le amiche «se verrà trattato come questo tessuto». E dalle sue abili mani anche il panno più ruvido e dozzinale acquistava una nobile forma.
Mentre passava il corteo dell'aristocrazia sarda in pompa magna seguito dai notabili e dagli alti prelati, Margheritedda si dispose dietro un gruppo di popolani chiassosi che si erano messi proprio in direzione del bastione da dove sporgeva la lunga asta che avrebbe portato la nuova bandiera vessillo del nuovo potere. Era gente più che altro curiosa di vedere quel cambio di governo e dubbiosa se le cose sarebbero cambiate in meglio o in peggio da quel momento. Poco distante un gruppo di bambini sventolanti piccole bandierine fatte di stracci schiamazzava talmente forte che non si capiva bene se fossero improperi d'insulto o frasi d'esulto. Il nuovo padrone non conosceva ancora quella strana lingua del posto e i soldati locali fecero finta di nulla.
Le trombe annunciarono l'arrivo del Re piemontese che si affacciò, imponente nella sua divisa carica di decorazioni e medaglie, dall'alto delle mura. Un cannone a salve azzittì tutti con un boato, facendo tacere anche il gruppo di bambini esagitati. La cerimonia dell'alzabandiera iniziò. Tutti i soldati disposti in file ordinate si misero sull'attenti e uno di loro, staccatosi dal gruppo, si dispose sotto il pennone; prese l' involucro che gli porse il messo, lo aprì e dispiegò la bandiera. La fissò al sistema di funi che l'avrebbero issata in alto sul pennone.
L'aria fino a quel momento calma e ferma si mosse trasportata da un vento bizzarro proveniente dal mare che incominciò a giocare con la stoffa. Ad un suono di tromba il soldato innalzò la bandiera che incominciò a salire attorcigliata dal soffio dispettoso; ma, quando arrivò su in alto, il vento gentilmente la allargò interamente e la mostrò in tutta la sua ampiezza.
Un «Oh!!!» di stupore corse e si alzò dalla folla incredula. «Guardate la bandiera!». «Guardate i quattro mori!».«Hanno la benda sugli occhi!» gridò qualcuno più spavaldo «Sì, dalla fronte la benda è scesa sugli occhi». «E non hanno più la coroncina!». La folla fra risatine, gomitate e schiocchi di lingua, batté le mani.
Margheritedda guardò la sua opera che il vento dispiegava in tutta la sua sfrontatezza e sorrise. In quel mentre si avvicinò il messo del Re e i loro occhi s'incontrarono, anzi si fronteggiarono orgogliosi gli uni e perplessi gli altri. La ragazza sempre con un sorriso sottile e malizioso prese dalla tasca la sacchetta dei soldi e l'aprì. Le monete non fecero in tempo a posarsi sulla sua mano che già volavano alte in direzione dei bambini che, spintonandosi a vicenda, cercarono di accaparrarsene almeno una. Il messo si fermò, sorrise e con un debole cenno del capo salutò la coraggiosa ragazza prima di tornare sotto la bandiera.
La prima benda calata sugli occhi per non vedere tutti i morti, compresi mio fratello e mio padre, mai tornati da una guerra in un paese che non ci appartiene.
La seconda benda calata sugli occhi per tutte le tasse che sono aumentate e alimentano le casse di un governo che spende e investe i soldi di noi poveretti in un paese che non ci appartiene.
La terza benda calata sugli occhi per tutto il grano, il legname, il carbone, l'argento e ogni altro ben di dio che vengono pagati un soldo e sono portati in un paese che non ci appartiene.
La quarta benda calata sugli occhi per non vedere questo tronfio Re di un paese che non ci appartiene.
© Pia Deidda 2012
http://www.youtube.com/watch?v=OLi03jZmZ5g&feature=related
Inno contro i feudatari
Francesco Ignazio Mannu - 1794
Procurade de moderare
Procurad'e moderare
Barones, sa tirannia
Chi si no, pro vida mia,
Torrades a pés in terra
Decrarada est giaj sa gherra
Contra de sa prepotentzia
Incomintzat sa passentzia
In su pobulu a mancare
Mirade ch'est pesende
Contra de bois su fogu
Mirade chi no est giogu
Chi sa cosa andat 'e veras
Mirade chi sas aeras
Minetan su temporale
Zente cunsizzada male
Iscurtade sa 'oghe mia
No apprettedas s'isprone
A su poveru ronzinu,
Si no in mesu caminu
S'arrempellat appuradu;
Mizzi ch'es tantu cansadu
E non 'nde podet piusu;
Finalmente a fundu in susu
S'imbastu 'nd 'hat a bettare.
Su pobulu chi in profundu
Letargu fit sepultadu
Finalmente despertadu
S'abbizzat ch 'est in cadena,
Ch'istat suffrende sa pena
De s'indolenzia antiga:
Feudu, legge inimiga
A bona filosofia!
...
Custa, populos, est s'ora
D'estirpare sos abusos
A terra sos malos usos
A terra su dispotismu
Gherra, gherra a s'egoismu
E gherra a sos oppressores
Custos tirannos minores
Est pretzisu umiliare
Traduzione:
Fate in modo di moderare
Baroni (proprietari terrieri),
cercate di moderare la vostra tirannia,
Altrimenti, a costo della mia vita,
tornerete nella polvere (per terra),
La guerra contro la prepotenza
è stata già dichiarata
e nel popolo la pazienza
inizia a mancare
State attenti perché contro di voi
si sta levando il fuoco,
Attenti perché non è un gioco,
se questo inizia per davvero
Guardate che le nubi
preannunciano il temporale
Gente consigliata male
ascoltate la mia voce
Non continuate ad usare lo sprone
sul povero ronzino,
o in mezzo al cammino
si ribellerà imbizzarrito;
è così stanco e malandato
da non poterne più,
e finalmente dovrà rovesciare
il basto e il cavaliere.
Il popolo sardo
che era caduto in un profondo letargo
Finalmente anche se disperato
si accorge di essere schiavo
Sente che sta soffrendo
solo a causa dell'antica indolenza
Feudo, legge nemica
di ogni buona filosofia!
...
Questa, o popolo sardo,
è l'ora di eliminare gli abusi
Abbasso le abitudini nefaste,
contro ogni dispotismo
Guerra, guerra all'egoismo
e guerra agli oppressori
È importante che questi piccoli tiranni
vengano vinti.
Traduzione FonteSarda 2003
1 commento:
Margheritedda è una figura interessante: in lei convivono praticità e arguzia in egual misura. Mi ricorda le figure di Goldoni: l'estrazione umile non impedisce loro di "menare per il naso" i nobili altezzosi.
Questo racconto è come la bandiera cucita da Margheritedda: un ricamo. La contaminazione tra fantasia e storia ha creato una leggenda, che ci regala un personaggio indomito e ci ricorda il dolore generato dalla tirannide.
La conclusione non è scontata, così come è sorprendente l’artificio della bandiera con i mori bendati. Quattro mori, quattro frasi che suonano come stilettate.
Pia, questa pagina è scritta in punta di penna!
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