Ho finito di leggere da alcuni giorni In nome della madre di Paola Sirigu e, come sempre mi succede quando finisco un romanzo, ho bisogno di un momento di tregua per interiorizzarlo. Ogni romanzo, che ti possa essere piaciuto o meno, ti lascia qualcosa dentro. E questo qualcosa deve venire fuori. Le mie sono le impressioni di una lettrice, non certo di un esperto o di un critico letterario, ci tengo a precisarlo. La storia è ambientata in Ogliastra nella seconda metà dell'Ottocento e narra della dura vita e del tragico avvicendarsi degli eventi di Nannai, donna che compie un percorso di riscatto sociale e personale utilizzando il mezzo della auto giustizia/vendetta. La vita di Nannai e il suo modo di reagire si colloca quindi all'interno della storia di una Sardegna avvilita, annichilita, sfruttata dalle istituzioni, che non trova nella Legge costituita la via dell'affrancamento. Ho trovato che la trama si snodi su due registri linguistici, con due Io narranti che si intersecano come una spirale di DNA per costruire insieme una storia che è dramma e come tale va condivisa. Il primo io narrante è la voce della storia, della cronaca, un incontro che assume quasi un distacco scientifico documentario; l'altro, che entra lentamente e che trova il suo culmine nel finale, è l'io narrante che partecipa al dramma, in parte lo condivide, lo vive nel suo femminile sardo dolore, è questo l'io narrante che partecipa ai sentimenti e descrive i sardi e il mondo che li circonda con alti picchi narrativi. L'uno e l'altro non si elidono ma anzi si costruiscono insieme raccontando la tragedia della storia sarda che è tragedia umana. Caso ha voluto che la lettura fatta proprio l'altro giorno della prefazione di Giuseppe Marci al Muto di Gallura di Enrico Costa (alla quale rimando) mi aiutasse a capire la volontà da parte dello scrittore - di un romanzo storico - di storicizzare gli eventi ma all'interno di un tessuto narrativo letterario che deve coinvolgere il lettore. Grazie Paola per questa storia tutta sarda, anche se trovo difficile partecipare e stare dalla parte di Nannai. Lo devo confessare.
Sento la necessità di porre due domande alla scrittrice:
La prima, forse sembrerà semplicistica, è: hai attinto da una storia vera? Dove hai trovato l'ispirazione?
La seconda, di carattere ideologico, è: tu emergi come una scrittrice che umanamente condivide le scelte fatte da Nannai. E' vero? Pensi che la scelta atavica della giustizia fatta da sé sia condivisibile?
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