martedì 12 giugno 2012
Un nuovo racconto di Pia Deidda: La continentale
Giovina appoggiò la
bicicletta al muro sbrecciato della trattoria di ziu Antoni. La
sensazione di benessere che provava, dopo la pedalata in salita dalla
scuola alla piazzetta dove si trovava il ristorante, sarebbe rimasta
nelle sue lunghe gambe ben tornite per buona parte del pomeriggio. Si
era adattata subito a quelle salite, lei così abituata a strade in
pianura o con lievi declivi. Dopo il frugale pranzo, consumato in
quel vecchio ma lindo locale, avrebbe continuato il giro fino ad
arrivare alla fontana in fondo al paese e
poi, seguendo lo stesso tragitto obbligato, sarebbe ritornata
indietro diretta alla sua vuota stanzetta della solitaria pensione
dove da qualche mese aveva preso alloggio; avrebbe preparato in
quell'incombente silenzio le lezioni per il giorno successivo.
Amava quei momenti di energiche pedalate, le regalavano vigore
fisico e le permettevano di ritemprarsi respirando quell'aria
salubre, dove poteva prevalere, a seconda dello spirare dei venti,
l'aria più frizzante che proveniva dall'interno montuoso o quella
più calda e iodata di quel mare che si trovava alle spalle del
paese, nascosto alla vista dai monti che davano ad oriente.
Dorgali era questo, un paese un po' montano e un po' marino.
Montano per la presenza delle alture e della conformazione del suo
territorio, in quello spettacolo di picchi dalle varie forme che si stendeva di fronte al paese e si perdeva verso il centro
dell'isola; montano nel profumo delle forme di formaggio di pecora e
di capra che inondava le stradine, nello scampanio delle greggi che
arrivava dagli ovili, nella vita rurale che vi si svolgeva. Marino
perchè la presenza del mare vicino Giovina l'avvertiva in quel bel
fritto misto che le stava davanti nel piatto e che le ricordava tanto
il mare Adriatico così lontano.
Mentre pensava questo si toccò la collana di corallo che portava
al collo, era il regalo che si era concessa con la prima tredicesima.
Una parte dello stipendio serviva a coprire le spese di vitto e
alloggio, il resto lo spediva tutto a casa. Quei rossi refi erano un
lusso e diventavano oggetto simbolico di una agognata e forse
raggiunta stabilità economica dopo la miseria e la fame vissuta
negli anni di quella lunga guerra.
Appena arrivata in Sardegna era rimasta ammaliata dai lavori di
oreficeria; molti di questi gioielli erano ostentati per numero e
grandezza sui variopinti e ricchi costumi, non solo nelle vetrine
delle oreficerie. Gioielli elaborati di finissima filigrana e corallo
che esaltavano la bellezza di quelle fiere donne e dei loro vestiti
della festa. In tutta la Sardegna i tanti gioielli, uniti alla
finezza dei pizzi e delle stoffe, sembravano cancellare la povertà
della vita quotidiana di quei remoti paesi che, per sopravvivere, avevano come unica economia quella agro pastorale.
Gioielli apotropaici, pietre che scacciavano gli influssi
negativi e che donavano, o illudevano di dare, grande prosperità e
salute e benessere. Giovina con le dita giocherellò con la sua
collana.
Rosso corallo,
dono del mare, stecco puntuto, albero degli abissi, scultura di
sangue.
Elemento scaccia malocchio, annienta cattiveria, allontana
malefici.
E non l'aveva imparato in Sardegna Giovina.
Antoni si era fermato davanti al suo tavolo e la osservava; non
guardava il piatto vuoto Antoni con l'intento di toglierlo. No,
guardava lei passandosi nervosamente e ripetutamente le mani sul
grembiule, come a voler scacciare via inesistenti residui di cibo.
“Cosa c'è Antoni?”.
“Signora professoressa...”.
L'imbarazzo era grande, l'aveva capito Giovina.
“ Mi dica ziu Antoni. C'è qualcosa che non va?”.
“Signora professoressa non sta a me dirle quello che sto per
dirle, ma...”.
“Sì?”.
“...ma penso che se non lo faccio io nessuno avrà il coraggio
di farlo”.
“Antoni parli, mi mette apprensione!”.
Ziu Antoni abbassa gli occhi e il viso diventa paonazzo, più di
quanto non lo sia di solito, sempre accaldato com'è là dietro in
cucina. Egli conosce la professoressa da qualche mese, da quando
viene a pranzo nel suo locale tutti i giorni. Sa che nella pensione
dove alloggia non è previsto il pranzo ma solo la cena. E' una bella
donna la professoressa, lo pensa ziu Antoni sempre con gli occhi
bassi, alta e distinta. E poi con quei pantaloni come sta bene! Ma
che imbarazzo parlare con una donna in pantaloni e poi, per giunta,
dell'argomento che deve affrontare.
Si arrischia.
“Sa professoressa... la bicicletta...”.
“Sì, la bicicletta, e allora?”.
“Io mi permetto di dirglielo perchè lei, senza offesa,
potrebbe essere mia figlia...”.
“Che cosa non va della mia bicicletta Antoni?”.
“Ecco, la gente... sa come sono le persone qui un po'
chiacchierone, un po' pettegole, nessuno che si faccia gli affari
suoi...e dicono che...”.
“E dicono che...?”.
Sospira forte Antoni e, riprendendo fiato, fa uscire le parole di
getto.
“Una donna non deve andare in bicicletta...”.
Tossisce ziu Antoni, si raschia la gola.
“... perchè è scandaloso”.
Giovina lo guarda perplessa, sgrana quegli occhi già così
grandi ed espressivi.
“Una donna non può andare in bicicletta?”.
“Così dice la gente di qui, signora professoressa”.
“Ah! E' così? Grazie Antoni per avermelo detto. Ho bisogno
però di riflettere su questo. Sa Antoni, dove sono nata io le donne
usano molto la bicicletta. E' un mezzo economico che permette di
andare in fabbrica anche se si abita lontano. Sa Antoni, nel mio
paese le donne lavorano in cartiera. E' la più antica cartiera
d'Italia. La carta di Fabriano è la più bella. Si fa anche la carta
filigranata, quella che si usa per le banconote. E' un segreto di cui
solo i cartai fabrianesi ne sono a conoscenza. Ma poi Antoni, che
male c'è? Porto anche i pantaloni...”
“Ecco, appunto: la “continentale” con i pantaloni...”.
Giovina esce mogia e dubbiosa dalla trattoria e, mentre riprende
la bicicletta, si chiede come dovrà comportarsi da ora in poi. Non
se la sente di diventare oggetto di discussione né tanto meno
scandalizzare; peraltro ciò potrebbe influire nella valutazione
disciplinare del suo operato scolastico. E' molto amata dalle sue
allieve che apprezzano il suo insegnamento, ma non sa come potrà
reagire il preside. Anzi, si chiede come mai nessuno le abbia fatto
finora qualche osservazione in merito. Forse le critiche sono
circoscritte solo a pochi pettegoli.
Mentre pensa al da farsi si dirige verso la pensione tenendo la
bicicletta in mano, non se la sente più di salirci sopra, non se la
sente neanche più di continuare il giro consueto.
Non sa con chi parlarne, con chi confidarsi. E' sola in paese, da
quando è arrivata non ha ancora allacciato nessuna amicizia. E,
mentre rimugina fra sé sul da farsi, passa davanti alla casa
parrocchiale e le viene l'idea di parlarne con la sola persona che
forse può affrontare il problema con distacco e saggezza. Una
persona che conosce bene quella gente e le loro consuetudini. Ha
visto il parroco alcune volte e le è sembrato uomo pio, di una bontà
però non leziosa o bigotta.
Giovina non frequenta la chiesa, non crede, o meglio, la si
potrebbe definire agnostica. Il problema del fine ultimo
dell'esistenza è stato accantonato fra sacramenti presi per dovere
filiale e adempimenti di giovane antifascista che ha militato prima
come staffetta partigiana durante la guerra e dopo come impiegata
nella libreria Rinascita.
Un po' tentennante Giovina suona il battacchio della casa
parrocchiale; il parroco, che si trova nell'orto dietro la casa, le
dice a voce alta di raggiungerlo nel retro. Il prete sta zappando una
terra dura e nera con le maniche rimboccate oltre i gomiti e la tonaca
tutta infangata. E' una visione che piace a Giovina, le fa sentire
quell'uomo più umano e più vicino alla gente.
«Nel
mio paese abbiamo la vanga; con essa è più facile smuovere la terra
più dura. Non capisco perchè non la si usi anche qui».
«Signora
professoressa, quante cose ancora non abbiamo! Forse noi sardi
scontiamo più degli altri le parole bibliche “Maledetto il suolo
per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo...».
«Eppure anche al mio paese
non è sempre tutto facile. Per esempio se si considera il freddo
d'inverno. Il paese è dentro una conca non ventilata e, quando
nevica, il gelo staziona per mesi. Sapesse che geloni ho sempre
avuto! Oppure i terremoti! Non mi ci faccia pensare, quanti spaventi
ho preso! Forse è anche per questo che mi piace la Sardegna, almeno
non è soggetta a sismi...».
«E qui le cavallette a
milioni, e le zanzare con la malaria, e la siccità per mesi...Devo
continuare?».
«E' bella questa terra. Ci
sono da pochi mesi ma sento che sarà la mia casa per sempre. Sa che
quando facevo le scuole elementari m'incantavo a guardarla nella
cartina geografica appesa sul muro dell'aula? Forse una
premonizione...».
«Ecco ho finito. Sediamoci
qui sotto l'albero e mi dica il perché di questa visita».
«Sono venuta da lei per un
consiglio perché non so come comportarmi. Poco fa mi è stato
riferito che qui in paese vengo criticata perché vado in bicicletta
e porto i pantaloni. Ma, come dicevo alla persona che mi ha messo al
corrente di questi pettegolezzi, al mio paese è normale che una
donna usi la bicicletta. Sa, è un paese operaio...».
«Sì, conosco la realtà in
cui lei è vissuta. Gli ultimi anni di seminario ho avuto come
confratello un giovane emiliano e spesso mi raccontava della sua
mamma e delle sue zie operaie che partivano dalla fattoria, dove gli
uomini accudivano i campi e gli animali, per andare a lavorare in
fabbrica in bicicletta. Penso che non ci sia nulla di male per una
donna andare in bicicletta. Però sono realtà diverse,
professoressa, e sarà lei in questo caso a doversi adeguare e
cercare di capire la diversa mentalità; soprattutto se, di questo
paese, ne vuole fare la sua casa. Non si tratta di essere più o meno
arretrati. No, non si tratta di questo. Sono solo mondi molto
diversi, con cultura e valori dissimili. Se le persone hanno da
ridire è perché ritengono indecoroso il suo comportamento; non fa
parte della tradizione di questo nobilissimo paese che è Dorgali. Il
consiglio che le do è questo, se vuole ambientarsi e vivere una vita
serena e ben integrata: non faccia chiacchierare le persone e lasci
perdere la bicicletta, e anche i pantaloni».
Giovina guarda il prete
capendo la sua filosofia. E' donna intelligente Giovina e sa che
quella sarà una delle tante rinunce che dovrà fare da oggi a
venire. La prenderà come un baratto per godere di quella bella
terra, del suo calore, della sua asismicità, della sua ospitalità.
Ogni terra offre i suoi doni
e questa ne avrà da offrire di belli alla giovane continentale.
©
Pia Deidda 2012
Perrotti, Costume di Dorgali
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4 commenti:
Bellissimo il tuo racconto, cara Pia,e riporta, con delicatezza e verità, pensieri ed emozioni. Fossi ancora a scuola, lo farei leggere ai miei allievi del terzo anno, facendo confronti molto belli con brani di grandi autori.
Complimenti
nina
Grazie Antonina. Commossa
Un amico mi ha proposto questa lettura.
Appunto ... Si tratta di un amico anche per questo.
Grazie Marcello Orlandi
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