Annicca si guardò i piedi che sprofondavano nella sabbia morbida. Non pensava fosse così inconsistente. Tirò più su la sottogonna di cotonina bianca; già la pesante gonna scura di orbace era stata avvolta sui fianchi. Ne aveva avuto il permesso dalla madre poco innanzi. A piccoli passetti, con la testa curva come a non perderne nemmeno uno, s'incamminò sulla spiaggia. Affondava con trepidazione reverenziale ad ogni incedere dei piedi in quella superficie calda e impalpabile. Le era preso come il timore di dover essere inghiottita chissà dove, se solo non avesse camminato leggera.
Il piccolo piede incominciò ad un certo punto a sentire il caldo sprigionato da quei granelli roventi. Si accorse all'improvviso che la superficie era come di brace. Si mise a correre emettendo piccole urla. I parenti si misero a ridere nel vederla procedere a saltelli veloci e scomposti. Si fermò là dove l'onda arriva lieve a trovare la sua meta e ne contemplò la sua soglia. L'onda lambiva la sabbia e rinfrescava l'arsura dei suoi piedi. Ne ottenne subito un benefico refrigerio; i suoi piedini delicati e candidi emergevano a stento dai granelli diventati in quel punto grigi e finissimi. Sollevò in alto l'alluce e inarcò le dita affusolate e regolari per farle riemergere.
Poi, come uscendo da un annichilimento temporaneo, sollevò lo sguardo. E lo vide. Lo vide nella sua immensa totalità. Era lì davanti a lei, distesa insondabile, di un azzurro cangiante, si muoveva lento creando onde leggere lievemente spumose. E Annicca pianse. Pianse a singulti prima lievi poi via via più profondi. Pianse davanti al mare Annicca.
Quanto aveva aspettato quel momento, quanto. I grandi occhi sgranati s'incantarono davanti a quella vastità. Non lo immaginava così. O forse sì. Annicca stette, per un tempo interminabile, in questo stato di leggera ipnosi, accompagnata dal movimento lento, regolare, avanti e indietro, avanti e indietro, che cadenzava il mare in quel giorno tranquillo. Un mare quieto aveva accolto Annicca quel giorno. Provava una strana sensazione. No, non pensava fosse così. Era proprio un bel regalo pensò. Sì, proprio un bel regalo per il suo fidanzamento con Salvatore.
«Annicca, allora hai deciso cosa vorresti in regalo per il nostro fidanzamento?».
«Sì Salvatore, una cosa ce l'ho da chiederti, ma ho paura che sembri una follia, una cosa assurda, forse dettata dalla mia stupidità».
«Una cosa strana? Oddio! E cosa mai mi starai chiedendo Annicca? La luna, forse?».
«No, non la luna Salvatore, ma vedi io ho un desiderio sin da bambina: io vorrei vedere il mare. Andare almeno una volta a vedere il mare».
«Il mare Annicca mia adorata? Il mare.....».
Annicca era arrivata a vent'anni senza mai aver potuto vedere il mare da vicino. Per essere chiari, non l'aveva visto neppure bene da lontano, ma appena intravvisto dall'alto del monte al di là del costone roccioso che puntuto e inaccessibile ne ostacolava la vista. Quando saliva sul monte a pascolare le capre, che le erano state affidate, si protendeva sulla roccia a strapiombo cercando di allungare il collo più che poteva. Tenace si teneva forte alla roccia aguzza ricavandone spesso graffi ed escoriazioni, solo per osservarne una sottile linea di blu.
Il mare non era lontano dal suo paese, era dietro il monte, al di là del grande costone di rosso basalto che scendeva modellando forme scultoree fantasiose a salto sui flutti formando calette e grotte.
Annicca il mare lo intuiva come una presenza possente d'autunno quando arrivava una umidità salina portata da un vento nervoso. L'avvertiva all'udito quando salivano suoni di onde tremanti e urlanti nelle notti d'inverno. Lo sentiva alle narici, odorava di pungente iodio e di pesce, quando la briosa brezza primaverile varcava la vetta. Lo percepiva d'estate quando un'aria calda e salmastra l'accarezzava. Come invidiava le sue capre Annicca che con un balzo potevano raggiungere lassù qualsiasi anfratto e protendersi verso l'altro versante. Potevano andare oltre, più sù.
E questo desiderio le era rimasto nel cuore, coltivato in silenzio perchè consapevole che apparteneva ad un mondo tutto suo, femminile e infantile contemporaneamente, che nessuno avrebbe potuto condividere in quel mondo rurale e pratico al quale apparteneva.
Poi, aveva conosciuto Salvatore, anch'egli servo pastore. Dal primo sguardo che si erano scambiati il giorno che i rispettivi genitori li avevano fatti conoscere aveva compreso che egli l'avrebbe capita. Quegli occhi scintillanti e profondi che la stavano scrutando un po' timidi, un po' desiderosi, avevano una luce che sapeva di una sensibilità mai vista prima in quelli degli altri uomini che fino ad allora aveva conosciuto. Sì, Salvatore l'avrebbe capita.
«Annicca, Annicca, che fai ancora lì? Dai, vieni, stiamo iniziando a pranzare».
«Vengo mamma, vengo subito».
Ma era una risposta che la brezza disperse in fretta perchè detta con un filo di voce. Annicca continuava ad essere come ammaliata dal moto dell'onda, rapita dal suono ritmato del suo infrangersi, estasiata da quell'intorno che vibrava di una una forza mai vista.
Movimento, pensò Annicca, come solo il vento lassù sulla montagna sa fare quando smuove con leggerezza o con impeto le fronde degli alberi e fa tremolare di vita propria la verde erba in primavera.
La comitiva era partita all'alba con due grossi carri trainati da buoi. Il percorso non era tanto lungo ma si snodava su una strada polverosa che scendeva verso la pianura in una miriade di tornanti. I più giovani sarebbero andati a piedi, alcuni di loro a cavallo.
Annicca aveva preso posto seduta davanti sul primo carro, quasi un posto d'onore. Ma non era forse la sua festa? Salvatore era accorso portando racemi di pervinca ed edera che aveva attorcigliato attorno alle assi del carro. Era un modo per sottolineare che quel carro era il più importante. Era il carro della festeggiata.
Quando il gruppo era arrivato sul limitare della spiaggia ognuno si era adoperato per allestire il grande telone che avrebbe riparato tutti nelle ore più calde. Gli uomini ancora vestiti di tutto punto con i pesanti abiti di velluto e i gambali ai piedi issarono i pali di legno e vi legarono le travi orizzontali, mentre le donne vi poggiarono sopra i candidi teli di cotone che fremettero alla leggera brezza mattutina emettendo un suono vibrante.
«Annicca, Annicca, la pasta si raffredda!».
«Non viene, sembra rapita da un incantesimo».
«Dammi il piatto, glielo porto io lì. Dopotutto siamo qui per lei, no?».
«Sì, Salvatore portaglielo tu, almeno mangia qualcosa».
«Già, siamo qui per lei, a chi di noi sarebbe venuto in mente di perdere un giorno di lavoro per venire al mare?».
«E' un po' stramba questa nostra figlia. L'ho sempre detto io! Soprattutto da quando l'ho sentita parlare con le capre!».
«Ma no, marito bello, cosa dici? Annicca è normale. Forse è sempre stata così sola lassù al pascolo...».
«Per fortuna adesso c'è Salvatore, un bravo ragazzo, si vede che le vuole bene e che la stima. Si sposeranno e Annicca avrà altro a cui pensare!».
Tutti i presenti convennero che ciò era vero e affermarono di sì con le teste continuando a mangiare in silenzio. Incominciavano a mal sopportare tutto quel caldo.
Annicca prese il piatto in mano meccanicamente senza distogliere gli occhi dal mare. Salvatore l'aiutò a sedersi in una porzione di sabbia dove l'onda arrivava appena. Osservò i piedini della sua amata, delicati e perfetti, lambiti dall'onda lieve.
Alzò lo sguardo e vide che due grosse lacrime solcavano il viso di lei. Ma il viso era sereno, s'intravedeva un leggero sorriso accennato dalle due labbra tenute strette strette.
Si girò indietro a guardare se gli altri li stessero osservando, ma si accertò che tutti erano distratti dal desinare. Si rese conto solo allora che nessuno ancora si era avvicinato alla battigia da quando erano arrivati.
Allora prese il coraggio a due mani e mise un braccio attorno alle esili spalle di lei. Era la prima volta. Sentì un fremito passargli sulla schiena. Si permise di premere un po' con la mano scendendo sul fianco. Lei non si mosse, rimase immobile continuando a fissare il mare. Ma lui avvertì un fremito lieve sulla pelle di lei, appena percettibile.
«Grazie Salvatore, mio adorato, grazie per questa emozione».
© 2011 Pia Deidda
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