mercoledì 29 giugno 2011

IL MIO LUGLIO IN SARDEGNA: APPUNTAMENTI

IL MIO LUGLIO IN SARDEGNA: APPUNTAMENTI

- 16 luglio ore 20 a Lanusei: notte di luna piena al Bosco Seleni fra i resti del nuraghe e il mio romanzo E CANTAVAMO ALLA LUNA (con Francesco Manca)

- 23 luglio ore 19 a Cagliari: Caffè Letterario, Via Ariosto, 24

- 20 luglio ore 19 a Pirri: con l'associazione CRAL ( Via Mentana, 41) dialogo fra Roberto Mura e me su L'ULTIMA JANA.

- 30 luglio ore 18,30 a Sadali all' Ecomuseo: premiazione fotografi vincitori del concorso fotografico: Acque di Sardegna: di terra, di cielo, di mare. Sarà presente Logosardigna Logos rivista in limba sarda comuna.

- 31 luglio ore 18,30 a Sadali all'Ecomuseo: dialogo fra Francesco Manca e me su E CANTAVAMO ALLA LUNA. Sarà presente Logosardigna Logos rivista in limba sarda comuna.

sabato 25 giugno 2011

Poesia di Pia Deidda, Lacrima di condensa

Lacrima di condensa

a G.

Leggo tra fragili e sofferte rime

il grido alla tua incoerenza,

in contrappunto sento

il freno della tua coscienza.


Un posto nell'anima ripone

compiute promesse di sposi,

sbiadite nel tempo,

parole taciute, immobili

rarefatte carezze,

silenzi profondi, oramai.


Lacrima di condensa

dissonanza specchiata

là dove il dito scrive sul vetro:

chi non anela all'amore!


© 2011 Pia Deidda

foto presa dal web e da me ritoccata


Il 30 e 31 luglio sarò a Sadali

Il 30 e 31 luglio sarò a Sadali

http://www.signalfestival.org/cantieri/




martedì 21 giugno 2011

"E cantavamo alla luna" a Sadali il 31 Luglio

E CANTAVAMO ALLA LUNA
Sadali, 31 Luglio 2011
Ecomuseo
ore 18,30

Parleremo del mio nuovo romanzo con Francesco Manca.
Vi aspetto.

sabato 18 giugno 2011

Nelle braccia di Cibele n.7 bis

Nelle braccia di Cibele n.7 bis

senza parole


giovedì 16 giugno 2011

Ma forse Brunetta avrà ragione...

Ma forse Brunetta avrà ragione...
Ma,ripensandoci,Brunetta ha ragione,solo che poverino come sempre non si spiega bene e si fa prendere dal panico non sapendo affrontare i suoi interlocutori. Il precariato è proprio una brutta cosa, è proprio una delle cose peggiori di questa Italia (io lo so per esperienza diretta): non puoi fare progetti per il futuro, non ti puoi rendere autonomo dalla famiglia, non ti puoi sposare se non facendo la fame,se ti sposi rimandi l'arrivo dei figli ad una età in cui potresti essere nonno, non puoi chiedere prestiti, ecc. ecc.
Eh sì, il precariato, proprio una brutta cosa in questa nostra Bella Italia...
http://www.youtube.com/watch?v=UMLB_v65HGM

Brunetta dopo qualche giorno.....

http://www.youtube.com/watch?v=nWvAYdsgUfE

martedì 14 giugno 2011

Poesia di Pia Deidda, Cosa si raccontano i poeti

Cosa si raccontano i poeti

Macchie di sole ritornano, isole

sparse, sulla mia scrivania

posano pensieri di poesia.

Spalanco la finestra anelando il sole,

s'inondano di luce queste mie parole scritte,

fogli che vorrebbero parlare di bellezza,

fra melanconia e profondo amore.

Cosa si raccontano i poeti

in frasi taglienti e brillanti

di carbone e di diamante?

Mentre rifletto il raggio sfiora,

fra giochi di ombra e di luce,

il solitario foglio.

© 2011 Pia Deidda

Dipinto di P. Bonnard, Donna che scrive

domenica 12 giugno 2011

Un nuovo racconto di Pia Deidda: "Non voglio sapere"

NON VOGLIO SAPERE

Sembra tutto asettico e impersonale qui, non mi aspettavo certo un'atmosfera da ospedale. Ho sempre immaginato lo studio di uno psichiatra come un posto caldo e accogliente; boiserie alle pareti, poltrona di cuoio marrone per lui e una chaise-longue per il paziente, tende verde rassicurante alle finestre. Forse questo è solo nei film, la realtà è questa: un ospedale. O, forse, mi confondo con lo studio di uno psicanalista.

Percorro l'anonimo corridoio rivestito di igienico smalto giallino e un infermiere mi fa accomodare in una ancora più anonima sala d'attesa. «Guarda» dico fra me «nemmeno una stampa alle pareti». Che gelo. Che atmosfera algida. Che gelo psichico, certo. Mi viene in mente il termine limbo. Ecco, il limbo me lo sono sempre immaginato così, un luogo non luogo, freddo, incolore, indefinito e immobile. Come questa sala d'attesa.

Aspettando per interminabili minuti di essere chiamato mi accorgo che non c'è suono. Altresì mi rendo conto che finora non ho incontrato altri pazienti. In questo limbo sono da solo, come sospeso.

Chiudo gli occhi e cerco di rilassarmi con la pratica del training autogeno che ho imparato a gestire abbastanza bene. Penso sempre di stare in riva al mare lambito da calde tranquille onde che, con lieve sciabordio, mi accarezzano. Mi sento meglio. Quando l'infermiere viene ad avvisarmi che è arrivato il mio turno mi sento come risollevato, esco da uno stato di solitudine troppo ingombrante. Gliene sono grato.

La mattinata la passo sottoponendomi ad esami che mai avrei pensato di fare, come l'analisi del sangue, la risonanza magnetica e la PET. Mi chiedo il perché di tutto questo. Ero arrivato preparato a dover conversare solo con lo psichiatra. Mi adeguo: io sono il paziente, loro gli esperti.

Man mano che procedono gli esami clinici mi abituo meglio al luogo in cui mi trovo; mi sembra che si stia rivelando più caldo e ospitale. O è la mia capacità di adattamento che fa modificare le mie percezioni? Tutto migliora quando mi fanno accomodare in una piccola sala da pranzo; mi accorgo di non essere solo, altri pazienti occupano piccoli tavolini come il mio. Ognuno è da solo. Ci guardiamo appena, in silenzio mangiamo. Non comunichiamo fra di noi.

Forse sento più forte questo silenzio. M'imbarazza come quando si sale in ascensore senza scambiare una parola con i compagni di tragitto. Sì, sento più forte questa assenza di dialogo fra simili, io, così abituato nella mia attività d'insegnante a convivere con una viva e calda e pressante presenza umana che non toglie respiro fino a quando si dilegua fuori dal portone a fine lezione.

Mentre spizzico l'ottimo contorno di patate arrosto che accompagna la mia fettina ai ferri penso che le ore passate a scuola sono le uniche in cui non sento il mio male. Esso arriva all'improvviso dopo il suono della campana, nel momento in cui metto piede fuori sulla strada; diviene più forte dentro il chiuso della metropolitana quando osservo questa variopinta umanità stanca e assente che va. Va. Mi viene sempre in mente il dipinto di Gauguin “Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?”.

Il male mi accompagna fino a casa e si tramuta in una sorta di triste dolore esistenziale quando chiudo la porta ed entro a vivere nella mia solitudine. Sarà per questo che il primo gesto che faccio, ancor prima di sfilarmi le scarpe, è accendere a tutto volume lo stereo. Riempio la casa di note che volano e la saturano di una ingannevole presenza di vita. Cerco benessere, lo cerco spasmodicamente, altrimenti non vivo. Non vivo.

Mentre sorseggio la tisana che mi hanno dato al posto dell'abituale caffè arriva il dottore. Si siede davanti a me e mi guarda con un sorriso che mi rincuora. Che strano, l'aspettativa di trovarmi davanti un uomo maturo con barba e occhiali viene disattesa. E' giovane, dal viso quasi etereo e ampi e profondi occhi di un azzurro intenso dove, per un attimo, mi perdo. Mi riprendo subito, la mia razionalità non permette certi cedimenti. La mia mascolinità pure.

Se mi stesse ipnotizzando? Penso. Il dottore sembra leggermi nel pensiero «Non si aspettava un pivellino, vero? Stia tranquillo, è tutta apparenza, sono più maturo di quanto possa dimostrare. E ho delle buone credenziali, mi creda». Gli credo, come non credergli? « Se vuole guarire deve avere fede in me». «Certo» rispondo spiazzato «avrò fiducia in lei».

Lo seguo lungo il corridoio ovattato e mi fa entrare in una stanza dove ci sono solo due poltrone comode e avvolgenti e una tenda alla finestra. Tutto è rigorosamente bianco. Non era questo che mi aspettavo. Sprofondo nella poltrona che mi viene indicata e cerco di rilassarmi. «Ecco, così va bene» mi dice il dottore e il suono della sua voce mi richiama ai suoi occhi. Lo fisso, forse con troppa insistenza.

«Le sembra che questo spazio sia troppo vuoto?». «Sì» rispondo senza indugio. «Quale colore le piace di più?». «In questo periodo amo l'azzurro». Lo vedo premere un pulsante sul bracciolo della sua poltrona e, con effetto spettacolare, tutto si trasforma in vari toni che mi ricordano il mare e il cielo. Sembra di essere fra le nuvole e sfiorare le onde. Sono esterrefatto e meravigliato nello stesso tempo. Sicuramente un effetto ottico dovuto al variare della luce e della sua intensità: le tende celeste chiaro, le poltrone azzurro cobalto, le pareti azzurro polvere.

Il mio sguardo va dietro la poltrona del dottore, mi accorgo solo ora che ci sono due stampe incorniciate. Riconosco i soggetti riprodotti. Il dottore mi precede «Due dipinti della Cappella Brancacci in Santa Maria del Carmine a Firenze». «Sì, “Adamo ed Eva nel Paradiso Terrestre” di Masolino» «E “Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso Terrestre” di Masaccio» continua il dottore «Si sta chiedendo il perché di queste due iconografie nello studio di uno psichiatra». «Infatti, temi inconsueti per un qualsiasi studio medico». Il dottore mi fissa con i suoi occhi sereni e accenna un sorriso «Adesso capirà». Mi sento stranamente leggero, come rassicurato. Guardo il dipinto di Masolino. «Dica pure quello che le sta passando per la mente professore». «Penso di essere influenzato dalle mie conoscenze storico-artistiche» dico. «Non abbia timore, vada oltre, guardi con occhi nuovi, osservi da un altro punto di vista». Andare oltre. «Masolino dipinge Adamo ed Eva, prima del peccato originale, come se fossero creature idealizzate». «Vada oltre» incalza il dottore. «Sono quieti, belli, manca in loro il turbamento. Ma, se guardo negli occhi di Eva, già leggo il dubbio. In alto incombe la testa del demone tentatore. Non è un mostro, ma ha il viso come di un angelo biondo. Eva ha già in mano un pezzo del boccone del frutto dell'albero del Bene e del Male».

«Dell'albero della Conoscenza», aggiunge il dottore, o forse corregge. «Chissà se lo ha già assaggiato. No - mi correggo - non ancora. Il viso è dubbioso ma l'insieme esprime ancora serenità e armonia». «Serenità e armonia, segniamoci questi due termini, ci torneranno utili per la sua guarigione». «Serenità e armonia» ripeto di rimando. Forse incomincio a capire, ho come una intuizione. Al dottore brillano gli occhi. «Lei è qui...» «...per ritrovare la serenità e l'armonia perdute» lo precedo.

Sposto lo sguardo sulle figure di Masaccio. «Ecco dottore, il volto di Eva mi ricorda l'angoscia che mi attanaglia in tanti momenti della mia giornata». Continuo ad osservare il dipinto mentre sento lo sguardo su di me del dottore che immobile e silenzioso sembra scrutarmi. Adamo ed Eva vengono scacciati dal Paradiso Terrestre da un angelo biondo che li sovrasta , vestito di rosso e con la spada sguainata. Escono insieme, vicini, da un'alta sproporzionata porta turrita e incedono verso una landa desolata. Mi passa un brivido, adesso capisco perché, è un'immagine in cui mi rispecchio. E' la mia angoscia, è la mia solitudine, è la mia incapacità ad affrontare le difficoltà della vita che viene esternata come urlo lacerante e doloroso dalla bocca spalancata di Eva. E' il mio senso di impotenza, è la mia piccolezza, è la mia fatica, è il mio disagio di vivere che viene espresso da un Adamo curvo che nasconde il proprio tormento interiore coprendosi il volto con le mani.

«Povera umanità dolorante!» mi esce come un grido, mi sembra che la mia bocca sia atteggiata come quella di Eva, «Povera umanità dolorante di cui io faccio parte» e non mi accorgo che sto pensando a voce alta. «Perché è qui?» mi richiama il dottore alla realtà. «Soffro di attacchi di panico che arrivano improvvisi e con cadenze sempre più ravvicinate, sono stanco, sotto stress continuo, dormo poco e quando mi sembra che tutto sia passato arriva il male peggiore, lo spettro che incombe su di me infido, la depressione».

«Cosa sente nelle due circostanze?». «Nella prima mi sento soffocare, il ritmo del cuore aumenta, sudo copiosamente pur avendo brividi di freddo. Ho paura. Paura. Un senso di folle paura che mi attanaglia. Ho paura di morire. Sento su di me tutto il peso del mondo. E' come se percepissi il male del mondo». «Il male del mondo» ripete il dottore guardandomi con commozione «Il male del mondo. Aggiungiamo anche questo agli altri termini da ricordare, li riprenderemo. E quando si sente depresso, cosa prova?». «Nulla mi attrae, tutto mi rattrista, piango nascosto nel mio mondo, chiudo tutte le serrande, tiro le tende, posso anche non uscire per giorni, non mangio, sento una grande insormontabile tristezza, un dolore dell'animo, certe volte penso di farla finita, di porre fine a questa sofferenza dell'animo. Posso fare una considerazione? Azzardare un parallelismo?». «Faccia pure, si senta libero di esprimersi». «E' come se sentissi, anzi no, come se vivessi il male del mondo. Tutto il male che grava sul mondo».

Il dottore, fino ad allora rimasto immobile, fa un gesto inaspettato. Alza una mano all'altezza del mio viso e ne percorre, senza sfiorarlo, i contorni. Sento un calore provenire dalla sua mano. Un senso di calma mi pervade. E' come uno scudo che protegge dalle emozioni negative che albergano in me, da sempre.

«Sentire, vedere, percepire, vivere il male del mondo. Si è mai chiesto cosa mai possa significare quell'albero inviolabile e intoccabile dell'Eden, professore? Cosa significa il peccato originale?». «L'uomo che vuole superare Dio, che non vuole stare relegato in un mondo di perfetta serenità e armonia dove non ha però la possibilità di libera scelta, non ha il libero arbitrio. Vuole essere potente come Dio». «Potrebbe essere una spiegazione molto ragionevole. Ma se andassimo oltre?». «Andare oltre. Cerco di capire cosa voglia dire tutto questo con la mia patologia». «La mia presenza qui non è per fare una diagnosi; lei è persona acuta e attenta, ha già tratto le conseguenze. Io sono qui per farle capire cosa sovrintende alla sua patologia. Metterla a conoscenza...». «No, si fermi, ho paura. Non vada avanti. Perché devo andare oltre? Perchè semplicemente non mi cura? Mi dia le medicine giuste dottore. Mi bastano, mi creda». «Non vuole andare oltre?». «No dottore, la prego mi lasci nella mia ignoranza. Non mi dia da mangiare dell'albero della conoscenza. Perchè penso di aver già varcato un limite già da tanto tempo...». «Lei è una persona molto intelligente professore e abbracciando da tempo il libero arbitrio ha diritto alla sua fetta d'ignoranza. Avrà le sue medicine».

«Posso chiederle un'ultima cosa?». «Mi dica».« Amo anche il verde. Il verde asseconda la mia parte ancora bambina; quella che fino ad adesso mi ha salvato la vita». D'improvviso la stanza si irradia di un verde cangiante, le tende svolazzano come fili d'erba mossi dal vento in un prato. Solo adesso mi accorgo che la finestra è aperta ed entra un rumore assordante e infernale dalla strada. Guardo Eva con il pezzo del frutto proibito in mano e mi pare che mi faccia l'occhiolino. Un pezzo del male cosmico ce lo siamo costruiti noi uomini, penso da solo mentre il mio udito è concentrato sul frastuono che arriva da sotto. Guardo per l'ultima volta il dottore. «Forse ho capito, ma non mi dica nulla dottore, la prego. Veramente, mi creda, non voglio sapere!».


Il dottore vede sul monitor il paziente uscire dall'atrio e si rivolge al suo collega di turno: «Un altro che non ha voluto conoscere». «E pensare che l'uomo è convinto di conoscere il segreto della vita, ma s'inganna». «E vuole vivere in questo inganno». «Il Creatore lo sapeva e ha avuto compassione della sua disperazione quando scoprì cosa c'era lì fuori una volta uscito dall'Eden. Quella terribile spaventosa profondità cosmica, dove le forze del male e del bene si fronteggiano in un eterno divenire, gli era stata celata fino ad allora per proteggerlo».« Creatura indifesa l'uomo. Ma caparbia, ostinata, orgogliosa». «La serotonina, la noradrenalina, la dopamina, la melatonina, le endorfine furono create per l'uomo a sua protezione».« E sono un dono che il Creatore fece alle sue creature più amate quando le vide in preda all'agghiacciante tormento esistenziale in quella landa desolata e angosciata del loro cervello». «Eh sì, fu terrificante per l'uomo scoprire cosa albergava fuori dall'Eden. Esserne a conoscenza».


© 2011 Pia Deidda


Monica Arianna Zanetti, traduttrice

Ciao Pia!

Ecco il responso dell’oracolo. Ops… dell’editor… Volevo dire… la mia opinione.

Una domanda mi sorge spontanea: hai avuto esperienza diretta con la depressione e il mondo della psichiatria o hai compiuto degli studi in materia? Lo descrivi con dovizia di particolari e con competenza.

Il tuo stile è asciutto, hai un ampio potere di sintesi (ahimè non ce l’ho): questo non esclude la capacità di cogliere l’essenziale ed il particolare e di riuscire a raccontarli in modo puntuale e senza inutili orpelli, con una prosa curata e un sapiente uso delle figure retoriche.

Hai trattato un tema spinoso con destrezza e (a mio parere), con la tua abile conclusione, lasci al lettore il “suo” libero arbitrio: ognuno può decidere quale sia il “suo male”. Quale “male” abbia trovato fuori dell’Eden.

Dulcis in fundo… Saresti un’autrice difficile da tradurre, non tanto per le scelte lessicali o stilistiche, quanto per i concetti espressi.

Immagina questo commento in una quarta di copertina…





sabato 11 giugno 2011

Nelle braccia di Cibele n.7

Arriverà l'estate da questa rannuvolata e piovosa fine primavera?
Tornerà l'estate nel mio animo ultimamente rabbuiato?


Sì! Tornerà. Già l'annunciano questi mostri della natura che, per un giorno, vivono di una bellezza solare che mi apre alla gioia dell'animo.
L'estate arriverà...E sì che arriverà!!!



mercoledì 8 giugno 2011

Poesia di Pia Deidda, Appallottolo parole

APPALLOTTOLO PAROLE

Appallottolo parole di tedio,
lancio lontano pensieri saturnini,
con mani sporche di inchiostri colorati
riannodo dissapori,
desiderosa nell'animo, come sempre,
di aria cristallina e tersa, e luce.
Riciclo così emozioni ormai perdute
in questi faticosi lenti giorni
dove anche le nuvole arrancano
come pensieri traditi e offesi
che ottenebrano l'arrivo dell'estate.
Ritorna, ti prego, serenità ritorna
a ritrovarmi fra questi miei sgualciti fogli,
perchè mi restano per sempre,
e solamente, immagini vibranti del passato.

© 2011 Pia Deidda

Dipinto di G. Boldini, Studio di donna che scrive

sabato 4 giugno 2011

Fede e ragione: annoso tema

Fede e ragione: annoso tema

L'umanità non riuscirà a trovare un'armonia di vita completa, che vuol dire benessere psichico e fisico (non solo civile, ma, anche, di conseguenza civile), fino a quando esisteranno intolleranze politiche, ideologiche e religiose. In queste forme d'intolleranza metto anche una certa posizione laica e atea che continua a denigrare i credenti in una contrapposizione fra fede e ragione. Fede e ragione: la storia è disseminata da questa contrapposizione creata da uomini di pensiero che, in nome della ragione e della libertà dell'uomo, hanno offuscato, ottenebrato, il desiderio dell'uomo di andare oltre la realtà concreta, tangibile, materiale. L'uomo e il suo desiderio di scoprire, conoscere, avvicinare, lo Spirito che sovrintende a tutta la creazione. L'inizio del tutto. O l'uomo che semplicemente va alla scoperta del non visibile ad occhio umano.

Posso capire l'anticlericalismo, una posizione di critica nelle istituzioni religiose, in persone concrete che non sono state esempio di virtù civili e morali, ma non posso concepire quelle persone che si battono per la pace, l'uguaglianza, la solidarietà fra i popoli e, nel contempo, denigrano il bisogno di religiosità e di divino che c'è nel cuore dell'uomo.

Come se il credente non fosse anch'egli uomo razionale, intelligente, partecipe di una storia di umanità che tutti ci accomuna.

Scrivevo qualche giorno fa che: “l'uomo intelligente si apre al Mistero e non lo rinnega in nome di una realtà che limita la nostra vera conoscenza...”.

Il limite non sarà di chi in nome della ragione si ferma alla realtà materiale?

nota: questo mio intervento è nato da una vignetta che gira in FB:

https://www.facebook.com/mobileprotection#!/photo.php?fbid=134085270002804&set=a.125141980897133.26324.125116747566323&type=1&theater

"Più sono quelli che credono,meno sono quelli che ragionano"

Come credente e come cristiana mi dispiace ma non ci sto a passare per una che non pensa, non ragiona. NON CI STO. E, con le parole di sant'Agostino: "Credo,ut intelligam, intelligo,ut credam". Credo per capire l'ineffabile mistero di Dio (Credo, ut intelligam); e, avendo alfine compreso Dio, posso a maggior ragione credere (Intelligo, ut credam).

giovedì 2 giugno 2011

http://www.contusu.it/varie/862-se-esistessero-ancora-i-cantastorie

E CANTAVAMO ALLA LUNA romanzo di Pia Deidda, cosa dicono i lettori

E CANTAVAMO ALLA LUNA
Cosa dicono i lettori

Antonio Sale

Pia, sto rileggendo il tuo libro. Lo trovo meraviglioso; ci racconti con Airam un pezzo della nostra storia con grande umanità.

Natascia De Leo

Finitoooooo!!! Bellissimo e magico... E' il "profumo" della forza delle donne sarde, siano esse umane che janas, è sempre così intenso, anche in questa tua ultima perla. Brava Pia!

E quando tra qualche giorno rivedrò i miei Scogli Rossi ripenserò a "quel" romano e gli dirò "Non parlo di forza, romano. Parlo di unità. Non abbiamo un esercito, non abbiamo strategie militari. Io parlo di unità di popolo. Parlo di una sua unica identità."

Evviva il Popolo Sardo! W la nostra Sardegna!

Valeria Corradi

L'ho appena finito di leggere! Bello!

Rosy Aresu

Sono nel bosco e vago leggiadra pensando a te Pia e a chi il bosco lo ha vissuto millenni fa, e nel bosco ha trovato fonte per i suoi meravigliosi scritti.

E ancora:

"Mare e montagna,presenze inscindibili di quest'isola,che si fondono insieme. Sul cuscino prese anche una fibbia d'argento e corallo finemente lavorata. Rappresentava la Luna su un cielo costellato di stelle".

dal libro di Pia Deidda "E cantavamo alla luna", tutto ciò che noi siamo come popolo, scritto magnificamente da Pia, che in questo racconto riesce a far rivivere in chi lo legge un culto antico ,che esalta ciò che oggi siamo come popolo, Airam, che rappresenta il sentimento, il carattere, la nostra interiorità, Airam che ha dentro di sé i caratteri delle donne di Sardegna. Grande Pia riesce sempre a creare con i tuoi libri una magia antica, grazie!

Fai rinascere sentimenti sopiti,travolti dalla quotidianità, riesco a uscire dal quotidiano leggendoti e mi sembra di rivivere nelle vesti dei tuoi personaggi, non riesco a non mettere per iscritto ciò che trabocca quando mi avventuro nel tuo mondo; scrivo pure male, sembra che una forza sconosciuta mi faccia scrivere velocemente, quasi per non lasciare sfuggire ciò che provo e che vorrei non svanisse, scrivendo riesco a sentirlo mio.

Sto centellinando il tuo libro, non ho finito di leggerlo, ne leggo alcune pagine e poi lo ripongo, mi piace leggerlo piano piano.

Paolo Cara

"E cantavamo alla Luna", ...

Anche qui Ti sei dimostrata grandissima, poiché nello scorrere della lettura, mi sono immerso nel tempo e nei luoghi da Te descritti con meravigliosa maestria.

Ho percepito le forti vibrazioni durante le Meditazioni di Airam, con l'aspetto Divino della Luna, e Tu sai quanto io senta forte il culto della Grande Madre, un qualcosa che è risvegliato in me, un qualcosa che da sempre percepisco, un qualcosa di cui sono consapevole che altro non è, che l'Amore Materno di Dio.

La descrizione dei boschi, delle rocce, del mare, del cielo e della luna, sono descrizioni ricche di divinazione e devozione.

Tu hai il grande dono nel descrivere con maestria la bellezza che percepisci, così da far vivere ciò che scrivi al lettore che sa immergersi in maniera profonda nell'incanto, grazie all'Amore Divino presente in ogni essere umano.

Grazie carissima Pia di quest'altra grande perla che hai regalato all'umanità intera.

La storia, la grande storia del Popolo Sardo, grazie anche a Te, vivrà in eterno, poiché con questi Tuoi racconti, altro non fai che tramandare di generazione in generazione, la nostra antica storia, il nostro antico culto e la forza di grande e infinito Amore che vive in ogni nostro cuore.

Colei che è il Puro Desiderio di Dio, Colei che è la Creazione, Colei che quotidianamente ci dona il Suo Eterno Amore, in eterno Ti Benedirà.

Un abbraccio forte e ricco di fraterno affetto da parte mia, che Ti stimo infinitamente.

Paolo.

Isabella Soverino

Ho finito E cantavamo alla luna semplicemente stupendo!

Ho trovato il romanzo molto coinvolgente nell'insieme: dalla descrizione del paesaggio marino della Sardegna alla vicenda storica. E' molto bello e poi come sempre c'è coraggio e amore nella vicenda.

Mario Casagrande autore del "Palloncino bianco"

Oggi ho terminato di leggere il romanzo" E cantavamo alla luna" Una storia davvero tenera, ricca di amore per la propria terra!! Come sempre, Pia Deidda ha dato il meglio, mi ha letteralmente affascinato con i suoi storici personaggi!!!! (Quinto Cornelio e in modo particolare Airam che mi ha conquistato) Grazie a Pia Deidda per avermi dato la possibilità di leggere questa stupenda storia... Ancora COMPLIMENTI!!!!!!

Laura Contaldi

Ho terminato la lettura di "E cantavamo alla luna". Come sempre Pia riesce ad incantarmi con i suoi libri in cui storia, fiaba e leggenda si uniscono per dar vita ad un racconto che è un omaggio alla sua terra ,alle sue origini, alle sue tradizioni.

La lotta del popolo sardo contro i romani fu veramente caparbia. Essi non volevano assolutamente sottostare alla trasformazione radicale della loro civiltà e dei valori morali cui voleva sottoporli il dominio romano.

Airam, sacerdotessa di un antico culto lunare, si oppose con tutte le sue forze a Quinto Cornelio, comandante romano, e il dialogo tra loro è tra le pagine più belle.

Un libro al femminile, scritto egregiamente, brava Pia!

Loredana Cuccu

E' una fusione di magia, storia antica, ma sempre attuale e natura.

E' profumi e sapori.

E' tradizioni, radicate nel tempo, inserite in un mondo “divino” che sembra tanto lontano, ma è stato tramandato.

E' quel ballo tondo reso mistico.

E' speranza nel domani che vince sulla crudeltà.

E' una donna caparbia, come le sarde riescono a essere spesso...e tanto bene.

E' amore per la terra sarda e il suo popolo.

E' quel “saremo altro”...”siamo già altro da tempo”.

(...)

Mi piace come hai descritto la sofferenza di questa divinità, tanto umana in questo suo desiderio [avere una figlia n.d.r].

E tutte le tradizioni raccontate nella realtà di questo popolo...pensavo a una persona “continentale” che non conosce così bene l'isola e magari si perde la magia del confronto, del pensare “ma sta parlando di...” “ma questo è...”.

Pia, sai che si vede davvero quanto sei legata all'Ogliastra?! Ma ti è mai venuta voglia di ritornare lì? O ti accontenti di riviverla quotidianamente nella tua realtà e nei tuoi libri?

Federico Deidda: ho letto «E cantavamo alla luna» e l'ho trovato molto bello. E' scritto benissimo.

L'idea di affidare a una donna le sorti del popolo è azzeccatissima. Alcune pagine sono bellissime, mi riferisco soprattutto al dialogo di Airam con Quinto Cornelio e dove descrivi l'incalzare della violenza subita dalle donne a opera dei romani. L'idea di romanzare la nostra storia è talmente indovinata e la tua prosa è talmente efficace che mi sono trovato alla fine, e non ci potevo credere, che non ci fossero altri fogli. Sarebbe perfetto se tu mi confermassi che questo è solo il primo capitolo, e che ne seguiranno almeno altri 11! (...) C'è fame di storie nuove, di saghe mai lette e quella del nostro popolo la devi scrivere tu, si sente che l'ami profondamente.