venerdì 15 gennaio 2010

IL RAZZISMO: STRANA MALATTIA

Tempo fa lessi il libro di Gian Antonio Stella "Quando gli albanesi eravamo noi" e in questi giorni vorrei consigliare la sua lettura a coloro che mi hanno incontrato su questo spazio.
Tanti sono i discorsi che sento pronunciati da giovani e meno giovani, a scuola, sul tram, nei negozi, per strada, dove si inneggia a comportamenti di intolleranza e razzismo. Eppure queste persone hanno pronunce siciliane, calabresi, pugliesi, venete. Penso che si sia persa la memoria storica non solo del proprio Paese ma del proprio vissuto.
In certi momenti mi sembra di vivere con orrore negli USA degli anni '50 o nel Sud Africa degli anni '60.
Pia


GLI INCONTRI DI PEACEREPORTER

IL RAZZISMO: STRANA MALATTIA
di Luca Galassi

AI convegno nazionale di Emergency, Fatah porta la sua storia. La fuga da un Paese in guerra, l'attraversamento di mezza Africa, il mare, il centro di accoglienza, la domanda di asilo politico, la vita dei campi. Poi, il lieto fine: da tre anni Fatah, somalo, è mediatore culturale, e collabora con Emergency al Poliambulatorio di Palermo. Fatah ce l'ha fatta, a differenza di molti altri le cui storie non hanno avuto un lieto fine.
Gli ospiti indesiderati vengono respinti senza appello da un Paese senza memoria. L'appello è la possibilità - negata - di far valere il proprio diritto all'ingresso nel nostro Paese (è il caso delle migliaia di richiedenti asilo che illegalmente vengono ricacciati in mare a seguito della nuova legge sui respingimenti). La memoria è quella - obliata - di un Paese che una volta è stato patria di emigranti.
Ne hanno parlato Christian Elia, di PeaceReporter, Gabriele Del Grande fondatore di Fortress Europe, don Virginio Colmegna, fondatore della Casa della Carità, e lo scrittore Erri De Luca.
Del Grande ha affrontato il tema dei respingimenti spiegando come la linea sostenuta da destra e sinistra, e dall'Europa intera, dal 6 maggio scorso sia quella di respingere in acque internazionali i migranti che provengono dalla Libia e portare a terra quelli "intercettati" entro le 12 miglia. Lo studioso si è chiesto perché 1.300 persone da allora siano state respinte senza che l'opinione pubblica ne venisse informata.
«Nessuno ha mostrato i video, non c'è stata nessuna copertura mediatica, eppure, come forma di propaganda, avrebbero potuto farlo. "Vedete? Li abbiamo riportati a casa senza che rischiassero la vita nel viaggio in mare:' Non sono state mostrate immagini per non mostrare la violenza che accompagna il processo di respingimento, fino alla consegna alle autorità libiche. Una volta a Tripoli, vengono caricati su camion, che sono container di ferro, e mandati in carcere. Ci stanno per mesi, alcuni per anni. Questa pratica - ha concluso Del Grande - è illegale, senza scomodare le Convenzioni sui diritti dell'uomo, le leggi a tutela dei rifugiati e via dicendo. Sono illegali perché il Testo unico sull'immigrazione, ovvero la legge Bassi-Fini, non prevede il respingimento per i richiedenti asilo politico. I respingimenti vengono propagandati come necessità umanitaria. Gli salviamo la vita perché queste persone muoiono in mare, intercettandoli il prima possibile perché, ci viene detto, provocheranno un effetto dissuasivo, pedagogico, sui potenziali candidati.»
Dice Don Colmegna: «All'approvazione della legge sui respingimenti, il quotidiano Libero titolava "Finalmente cattivi': Bisogna scuotere alle fondamenta questa cultura. La ricerca del capro espiatorio è diventata un tumore sociale.
Ci vuole una cura della salute, di eccellenza, come fa Emergency, ma anche una cura che riporti nel nostro Paese una cultura dell'accoglienza. La mentalità popolare viene continuamente aggredita da una strisciante demonizzazione dello straniero, di identificazione del capro espiatorio. t:inimicizia fa capitalizzare la paura, rendendola un luogo dove il nemico deve scomparire. Siamo all'anticamera della,camera a gas. Alla borsa politica del nostro governo è questo il grande capitale di consenso».
Per Erri De Luca il nostro è il tempo delle grandi migrazioni alla ricerca di una patria che dia da mangiare e da lavorare. Noi siamo stati "azionisti di maggioranza" in questa realtà: trenta milioni di italiani hanno cercato di trapiantarsi altrove. «Ledda, nel suo libro Padre padrone, raccontava degli autobus nei paesini che portavano all'imbarco per l:4ustralia. Era un congedo che era un lutto tra vivi, un momento di addii irreparabili: erano dei funerali. Noi siamo stati azionisti di questa immensità di migrazioni, che hanno svuotato le nostre terre e i nostri paesi molto più profondamente di due guerre mondiali.
«Da un punto di vista narrativo la letteratura non se ne è occupata molto. Il nostro cinema del Dopoguerra se ne è occupato, solo in parte il cinema moderno. Ricordo il film Titanic, con ·Ia priorità data ai salvataggi di prima classe. Sappiamo che l'equivalente di una decina di Titanic si è depositata nel tratto di mare tra la Sicilia e la Libia, ma questo non ci ha fatto lo stesso effetto del film. Abbiamo avuto le miniere del Belgio, col sequestro dei passaporti italiani, col lavoro obbligato e coatto: dovevano stare nelle miniere per anni, a oltranza, fino a che i minatori non avessero riscattato il loro passaggio. Intanto incassavamo il carbone. lo mi chiedo: tutte queste misure di ostilità, di avversione, di esclusione, hanno un'efficacia, infilano un preservativo al nostro Paese o no? Uomini che affrontano questi viaggi, vengono dissuasi, con queste misure, con il reato di immigrazione? Per niente. È falso che abbiano la seppur minima efficacia. Nemmeno la pena di morte servirebbe. Ma sanno aizzare i peggiori sentimenti, e produrre e lucrare consenso politico. È mai possibile che in politica non si possano sfruttare i sentimenti opposti? Che non si possa trarre profitto dai sentimenti di solidarietà, di fraternità e di uguaglianza?».

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