giovedì 30 luglio 2020
In Sardegna non ci sono le sirene (racconto di Pia Deidda)
Il dipinto della sirena Perla è
dell'artista Sara Bachmann.
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IN SARDEGNA NON CI SONO LE
SIRENE
Prella si svegliò di soprassalto
con il cuore che batteva forte. Lo schianto era stato fortissimo e si
chiese cosa l'avesse provocato. Si alzò dal morbido tappeto di
posidonia su cui si era distesa e guardò verso gli scogli che
chiudevano a destra e a sinistra la piccola insenatura sabbiosa; il
mare quel giorno era agitato, le onde s'infrangevano nervose sulla
battigia e più potenti sui grandi massi che calavano a picco
nell'acqua. Non poteva però essere stata un'onda a creare quel
fragore. Acuì la vista ma non riusciva a vedere nulla in mezzo a
quella schiuma bianca che ballava sul mare. Decise di sedersi su una
duna poco distante dalla riva e continuare ad osservare per vedere se
riusciva a scorgere qualcosa.
Ormai era sveglia e il sonnellino,
che si concedeva ogni pomeriggio in quella cala silenziosa, le era
bastato a recuperare le energie che le sarebbero servite per
ritornare a nuoto nel piccolo villaggio di pescatori, un po' più a
nord della costa, dove abitava.
Quel giorno era arrivata più
stanca del solito, non tanto perchè aveva dovuto reagire con
bracciate più vigorose alla forza di quei marosi ma perchè si era
fermata a trastullarsi con le foche monache che spesso incontrava in
prossimità della grotta marina che si apriva in quel tratto di
costa. Esse saltavano a pelo d'acqua facendo giravolte sulle onde con
guizzi veloci; quel giorno erano particolarmente felici e serene
perchè sapevano che, con quelle condizioni del mare, i pescatori non
sarebbero usciti a pesca e potevano baloccarsi indisturbate. Era
sempre un incontro divertente e anche quella volta le avevano fatto
capire che avrebbero avuto piacere di giocare con lei.
Ora, ancora frastornata da quel
repentino risveglio, sentiva una strana apprensione, come se dovesse
accadere qualcosa di pericoloso. Cosa poteva essere stato? Pensò ad
un tuono ma il cielo era sgombro di nubi.
Mentre era intenta a scrutare
attentamente il mare vide una forma gialla tondeggiante emergere e
scomparire ad intervalli regolati dal flusso delle onde. Pensò fosse
una medusa e si apprestò a prenderla per poterla rigettare più al
largo e salvarla dal caldo rovente della sabbia dove si stava
dirigendo. Ma, quando si avvicinò, si rese conto che era un cappello
da uomo con ampie falde di feltro rialzate e un lungo nastro rosso
slacciato che si stava staccando dalla cupola. Lo prese e lo mise ad
asciugare su una roccia rovente posta al riparo dall'acqua. Non aveva
mai visto nessuna foggia
di tale fattura. Chissà chi lo aveva indossato e da dove proveniva.
Quel ritrovamento aggravò il suo
stato di apprensione. Era legato al rumore che aveva sentito? Si
trattava forse di un naufragio? Ma non scorgeva nessun relitto alla
deriva. Forse le forti correnti di quel tratto di mare stavano
sospingendo i pezzi verso sud.
Non tranquilla non se la sentì di
tornare a casa e continuò a scrutare l'acqua. Voleva capire cosa
fosse quello strano presentimento che le metteva una inaspettata
ansia a cui non era abituata.
Si mise seduta più comoda con le
lunghe gambe abbronzate piegate e le abbracciò come a proteggerle.
La sua tenacia fu premiata dopo un po' di tempo; il mare depose sulla
battima il corpo di un uomo. Corse subito a sincerarsi che fosse
ancora vivo e, accertatasi del debole respiro che sentì, mise in
atto quelle manovre di salvataggio che aveva imparato per soccorrere
i pescatori o i nuotatori inesperti che avevano rischiato di annegare
in quel tratto di mare. Premette il torace con forza più volte e
respirò aria pura e ossigenata dentro la bocca dell'uomo tenendogli
il naso chiuso. L'uomo rispose positivamente tossendo e vomitando
l'acqua salata che aveva dentro i polmoni.
Lo aiutò a sistemarsi meglio con
il capo sollevato da un cuscino di alghe e lo osservò attentamente.
Chi poteva essere? Visto
l'abbigliamento non era certo un locale; aveva un paio di pantaloni
di fine fustagno e una camicia bianca di cotone di ottima fattura; la
cintura era di un cuoio nero spesso e a sinistra pendeva un sacchetto
di raso a strisce gialle
e rosse che doveva aver contenuto le monete.
Era un bell'uomo con capelli neri
raccolti in una lunga coda e il volto abbronzato era piacevole con
gli zigomi alti, la mascella sporgente, la fossetta sul mento e un
naso lungo ma regolare. Notò che la pelle era appena ombreggiata da
una leggera peluria indice di una rasatura giornaliera.
Mentre lo scrutava lui aprì gli
occhi, che aveva lasciato socchiusi fino ad allora, e la guardò
stupito. Lui non aveva mai visto un viso olivastro così dolce con
due occhi di zaffiro e lei non aveva mai visto due occhi smeraldo.
Rimasero alcuni minuti in contemplazione l'uno dell'altro.
«Dove sono? Cosa è successo?».
«Si trova su questa spiaggia.
L'ho soccorso io. Ha rischiato di morire annegato. Cosa è successo
me lo dovrebbe dire lei».
«Non ricordo nulla».
«Non si preoccupi, recupererà
presto la memoria. E' ancora sotto choc».
Lui chiuse gli occhi e si adagiò
meglio sul cuscino. Aveva dolori su tutto il corpo e un leggero senso
di nausea.
«Aspetta! Ricordo qualcosa...»
disse riaprendoli « il mio nome...» e le parole uscivano come un
soffio «sono Arnau Esteve Miquel de Catalunya ma mi chiamano tutti
Capità Espant».
«Caspita che nome lungo che ha!
Capitano...allora avrà una ciurma da comandare...».
«Sì, ora ricordo. Eravamo nella
tempesta e ad un certo punto abbiamo sbattuto contro uno scoglio che
non avevamo visto affiorare dall'acqua».
«Allora è quello il rumore che
ho sentito!».
«Oh mio Dio! E i miei uomini dove
sono? La nave è affondata subito».
«Capità Espant adesso non si
deve preoccupare, pensi a recuperare le forze».
«Ma come farò? Dove sono?».
«Vede laggiù quel villaggio
sulla costa? E' il villaggio di pescatori dove vivo. Chiederò aiuto
e vedrà che verranno a prenderla. Poi si vedrà il da farsi».
«Ma tu come sei arrivata fin qui?
Non vedo nessuna imbarcazione».
«A nuoto, naturalmente!».
Lei trovò quella domanda così
assurda che rise spontaneamente. Il viso si illuminò e Capità
Espant la trovò stupenda e si chiese chi fosse quella magnifica
fanciulla che l'aveva salvato.
Prella intuendo la domanda
inespressa dell'uomo disse: «Sono nata qui fra queste coste. Il mare
è la mia vita. Stia tranquillo tornerò domani».
L'uomo si sentì rincuorato.
«Senta, le lascio questa
borraccia, c'è ancora dell'acqua».
Lo sistemò meglio sopra il suo
giaciglio di posidonia e lo salutò con una mano tuffandosi in mare.
Capità Espant fece appena in tempo a vederla affiorare fra le onde e
dirigersi, parallela alla costa, con vigorose bracciate verso il
villaggio.
«Non le ho chiesto nemmeno come
si chiama» e si addormentò esausto.
Il giorno dopo Prella arrivò che
il sole non era ancora sorto sul mare. La presenza di quell'uomo le
metteva inquietudine ma le suscitava anche interesse. Aveva,
stranamente, dormito poco.
Trovò Capità Espant
febbricitante ma andò a prendere la conchiglia a forma di scodella e
vi versò l'acqua fresca che aveva portato. Il liquido gli procurò
subito refrigerio e lui ringraziò la ragazza. Riuscì anche a
muovere la testa verso di lei e ad allungare una mano per toccare con
dolcezza uno zigomo; sfiorò anche la piccola bocca rosata e scese
fino al collo. La sua attenzione fu attratta da una collana che
Prella portava sul collo i cui refi erano ramoscelli di un intenso
rosso scuro; una così l'aveva vista solo in un dipinto nella
cappella di corte appesa al collo del Bambino.
«E' di corallo?».
«Sì ».
«L'hai raccolto tu?».
«Sì».
«Sai nuotare così in
profondità?».
«Sì, ho imparato fin da piccola.
Mi immergo senza respirare».
«In apnea».
«Apnea?».
«Sì, vuol dire andare in fondo
al mare trattenendo a lungo il respiro».
«Una parola nuova da conservare».
«Ma tu capisci bene la mia
lingua, come mai?».
«Assomiglia alla parlata di un
paese che è all'aldilà dell'isola. L'ho imparata perchè vado
spesso a nuotare da quelle parti. E lì che ho preso questo corallo».
«E' molto bella questa collana».
«Domani quando ritorno ne porterò
una per lei».
«Grazie. Ma domani verranno i
pescatori?».
«Speriamo solo che si calmi il
mare. Io tornerò comunque. Per ora prenda da mangiare queste alghe
fresche. Vedrà che l'aiuteranno a ritrovare le energie perse».
Capità Espant prese la grande
conchiglia a forma di piatto che lei gli porgeva e su cui era posata
una strana poltiglia verde. La osservò dubbioso.
«Devo proprio?».
«Certo!».
La risposta era stata così
perentoria che il capitano non se lo fece ripetere due volte.
Che il sapore fosse squisito lo
si capì dall'espressione soddisfatta dell'uomo. Porse la conchiglia
per un'altra porzione.
«C'è tutto il sapore e il
profumo del mare qui dentro».
«E' un ottimo sostituto del
pesce».
Soddisfatto, di ciò che aveva
appena mangiato, si addormentò.
Prella fu rapida a preparare una
copertura di canne per proteggerlo dal sole e gli sistemò meglio il
giaciglio.
Si chiese come un uomo così bello
e indifeso potesse essere chiamato Capità Espant mentre si rituffava
in acqua.
Anche il terzo giorno il mare
mosso non aveva permesso ai pescatori di recare soccorso al capitano
ma non aveva spaventato Prella che si era recata sulla spiaggia di
prima mattina.
Lo trovò in piedi sulla riva che
cercava di sospingere un grande baule di legno.
«Ah! Sei arrivata! Vieni dammi una
mano».
Prella mise tutta l'energia nelle
sue braccia e l'aiutò a issarlo al di fuori delle forti onde che si
abbattevano sulla battigia. Fu una impresa difficile ma ci
riuscirono.
Deposero il baule sopra la duna e
si stesero a pancia all'aria esausti.
«Sai che non so ancora come ti
chiami?», disse lui girandosi su un fianco per guardarla meglio.
«Prella».
«Prella... ».
«Vuol dire perla».
«Perla... Preziosa come una
perla...».
«Me lo mise mia madre perché le
ricordava il colore perlaceo di questa spiaggia. Sa che mi partorì
qui? Aveva fatto male i conti e quella mattina, come tutti i giorni,
aveva nuotato. Le arrivarono del doglie del travaglio proprio mentre
stava arrivando qui».
«Fece tutto da sola?».
«Noi qui siamo abituate a fare
tutto da sole».
«Che coraggiose! E gli uomini?».
«Sempre per mare...».
Capità Espant avvicinò il viso
per baciarla ma lei si ritrasse fulminea.
«Mi faccia vedere cosa c'è nel
baule capitano».
«E' il baule dei miei tesori».
«Non è che lei è un pirata e
non me lo vuole dire?».
«No» rispose sorridendo «cerco
trofei per conto del re di Barcellona».
Era una cassa di legno di ciliegio
con impresso a fuoco, a lettere maiuscole svolazzanti, AEMC. Una
grande borchia d'ottone era posta al di sopra e rappresentava un
veliero che sovrastava una sirena fra le onde. Prella passò le dita
sulle due figure e lo guardò dubbiosa.
«Sono un cacciatore di sirene».
«E quante ne ha cacciate?».
«Finora nessuna viva».
«Vedo che la memoria gli sta
ritornando».
«Sì, adesso ricordo tutto. Io e
i miei marinai abbiamo fatto tutto il giro del Mediterraneo in cerca
di sirene. Questa era l'ultima isola dove le dovevamo cercare prima
di tornare a casa».
«E avete fatto
naufragio...».
«Per fortuna che questa preziosa
cassa non è andata perduta. Il Re sarà felice di arricchire la sua
collezione privata. Dai aiutami ad aprire che non ho più forze».
Prella fece pressione sulla
serratura e questa scattò. Sollevò il coperchio con fare lento. Era
un po' emozionata e gli occhi erano lucidi.
All'interno c'era un grosso
pugnale, con un'elsa d'oro incastonata di pietre preziose, sopra
tanti involti di velluto a righe rosse e gialle. Ne prese uno e
l'aprì. Dentro c'era una catenina d'argento con un pendaglio a forma
di conchiglia e una perla vera incastonata.
«Questa l'ho sfilata dal collo
di una sirena di Malta. Mi sfuggì dalle mani con la sua pelle verde
scivolosa mentre cercavo di acciuffarla. Mi rimase in mano solo
questo suo gioiello», disse con aria di disgusto.
«Pelle verde scivolosa» e lo
guardò sollevando le fini sopracciglia.
Prese un altro involto, dentro
c'era una coroncina d'oro con stelle marine a sbalzo lavorate di fine
cesello.
«Ah, questa! Che impresa!» e
arricciò il naso sprezzante «E' di una sirena di Cipro. Scappò
impaurita appena mi vide perdendola sul fondale. I miei uomini la
inseguirono ma era troppo veloce fra le onde».
A Prella sfuggì un sorriso: «Ma
vi scappano sempre!».
Capità Espant fece finta di non
sentirla e questa volta prese lui un altro involucro.
«Questo è un ciuffo di capelli
d'oro. E' ciò che mi rimase in mano quando cercai di afferrarne
una che avevo avvistato al largo della Sicilia».
«Capelli d'oro...» e la bocca
s'inclinò dubbiosa, «E questo? ».
«Un braccialetto di pietre di
turchese e conchiglie che trovai su uno scoglio nell'isola di
Minorca».
«Naturalmente della sirena
nessuna traccia».
«No», rispose il capitano senza
afferrare il tono ironico della ragazza «Era sicuramente scappata
spaventata dal mio arrivo».
Prella era stata sì irridente ma
dentro di sé celava un grande tormento. Si sporse dentro il baule e
prese un involto che era un po' più grande degli altri. Mentre
osservava inorridita il suo contenuto non riuscì a trattenere una
lacrima.
«Questa è la pinna essiccata di
una sirena. E' la prova della loro esistenza».
«Ma sembra di una piccolina» e
la voce le s'incrinò in gola.
«Eh già! Questa è di Capri. La
madre l'aveva appena partorita ma fuggì via appena ci vide non
riuscendo a raccogliere la figlia che le era appena uscita dal
grembo».
A Prella passò un brivido sulla
schiena e le girò la testa.
«Mi sono ricordata che avevo
portato un ricordino per lei» e tirò fuori dalla tracollina di
bisso una corta collana fatta da lei con refi irregolari di corallo
rosa chiaro e di palline di argento filigranato.
«La vuole mettere al collo o la
conserva qui fra i suoi trofei?».
Lui rimase per un attimo indeciso
e la guardò perplesso.
«La metto! Certo che la metto.
E' un regalo per me e non un trofeo della collezione del Re! Grazie
di questo bel dono. E' molto bella».
«Adesso devo andare. Tornerò
domani e spero di farlo con i pescatori» e, già tuffandosi fra le
onde, gridò «Si ricordi di mangiare le alghe, sono molto
nutrienti».
Lui non fece in tempo ad assentire
che lei era già lontana.
Passarono i giorni, di Prella e
dei pescatori nessuna notizia. Scrutava la costa verso nord ma non
intravvedeva nessun movimento. Il mare si era calmato ma tirava un
forte vento che proveniva dalle montagne e sospingeva le onde verso
il largo. Un mare pericoloso per mettersi a navigare, pensò.
Un delfino aveva preso l'abitudine
di fermarsi a saltare in prossimità della riva. Sbagliava o sembrava
che lo schernisse facendo quello strano verso?
Intanto il sole sorse sul mare e
tramontò alle sue spalle sui monti ancora per giorni e giorni. Ma stava impazzendo o c'era un
irreale silenzio? Si toccò la fronte ma non era più febbricitante.
La sabbia rovente attutiva i rumori assorbendoli nelle sue esalazioni
di calore. Il baule gli sembrò il suo vascello fra le onde. La notte
aveva gli incubi; sognava i suoi uomini inghiottiti nell'abisso e
sbranati da donne bellissime che si trasformavano in orripilanti
mostri famelici. Nel dormiveglia sentiva uno strano canto ammaliante
che gli metteva una insana agitazione. Si svegliava madido di sudore
e tremante.
Nel momento in cui era preso dal
più nero sconforto e pensava che quella sarebbe stata la sua tomba
(oh! che jella per un capitano morire fra la sabbia e non dentro la
sua nave fra le onde come i suoi prodi marinai!), intravide
una grande barca a remi dirigersi verso di lui. Dietro, a
nuoto, con grandi bracciate, la seguiva Prella.
«Prella! Prella! Prella! Pensavo
ti fossi dimenticata di me!».
Prella uscì dalle onde e le
porse le mani.
«Giammai!» e stampandogli un
bacino in fronte: «E come potrei dimenticarvi?».
Fece segno ai pescatori di
avvicinarsi e mostrò loro il baule; lo trascinarono a fatica verso
la barca.
Capità Espant guardò il baule
che sprofondava sempre più nella sabbia fine e, un po' impaurito
disse: «Aspettate vi do una mano».
Prella osservò la scena ben
dritta sulle spalle e con le mani dietro la schiena senza
intervenire. Issato il baule sulla barca il
capitano si diresse verso Prella per salutarla.
«Prella tornerò nuovamente. Vado
a Barcellona ad ingaggiare una nuova ciurma e mi rimetterò subito in
viaggio. La tua isola è grande e devo riuscire a circumnavigarla
tutta». E, mentre saliva sulla barca, seguito da Prella, disse:
«Grazie sei stata veramente ospitale con me e te ne sarò
riconoscente. Mi mancherai».
Un pescatore, dopo aver aspettato
che tutti si fossero sistemati, diede una spinta all'imbarcazione e
fece un salto per entrarci dentro mentre questa era in movimento.
«Capità Espant sa cosa le
dico?» disse Prella dalla riva, alzando la voce per farsi sentire e
mettendosi in punta di piedi per sporgersi meglio e
non far disperdere nemmeno una parola «So che la deluderò ma
il suo proposito cadrà nel vano. Non perda tempo a cercare qui. In
Sardegna non ci sono le sirene».
Alzò il braccio che aveva tenuto
fino ad allora dietro la schiena e, sventolando il cappello del
capitano, lo salutò. L'avrebbe custodito fra i suoi trofei.
© Pia Deidda 2020
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