sabato 25 ottobre 2008

Una leggenda sarda: Mariancani e Perdu Palitta

Grazie a www.agugliastra.it che mi ha permesso di trascrivere questa leggenda a me molto cara perchè si riferisce a due personaggi presenti nelle mie fantasie di bambina. Sulla strada che collega Lanusei con Loceri si costeggia Monte Tarè e da lì si possono vedere le due pietre che hanno sembianze umane: Mariancani e Perdu Palitta.

Mariancani e Perdu Palitta

Mariancani e Perdu Palitta sono due figure antropomorfe di porfido rosso che si elevano sulle pendici di Monte Tarè. Esistono tante versioni di questa leggenda noi ne citiamo quella più ricorrente. Perdu, pastore, voleva attraversare il mare per cambiare vita. La madre scongiurava il figlio perché non partisse. Per convincerlo gli mostrava la bellezza della terra che voleva abbandonare. Il golfetto di Cea caratterizzato dai rossi faraglioni che, al tramonto, si colorano più intensamente assumendo un aspetto fiabesco; l'angolo di paradiso della insenatura di S.Maria Navarrese custodita dall'Isolotto d'Ogliastra; la selvaggia bellezza di Punta Tricoli il massiccio di Monte Armidda, odoroso di timo (in sardo “armidda” da qui il nome), dalla cui vetta si assiste all'ineguagliabile spettacolo del sole che si leva dal mare della costa orientale tra suggestivi riflessi sanguigni. Perdu non sentiva ragioni e, per non essere ammaliato dal paesaggio, si copriva gli occhi con le mani cercando di intravedere, tra le dita, l'arrivo della grande nave che lo avrebbe portato di là dal mare. La nave, superato Capo Montesanto, sulle cui rocce, a precipizio sul mare, si frangono, belle e temibili, spumeggianti colonne d'acqua, gettò l'ancora nella incantevole baia di S.Maria Navarrese. Perdu, di corsa, si incamminò verso la marina. Mariancani, con affanno, lo seguiva esaltando le bellezze della terra che lasciava. Giunto in prossimità di Monte Tarè, la vallata fu illuminata da una luce intensa e fulgida quale solo si vede da Lanusei nei pomeriggi estivi. Perdu, che per correre, si era tolto le mani dagli occhi, rimase abbagliato dalla superbia e maestosità del paesaggio che prima, mai, aveva osservato con lo stesso spirito con il quale ora lo vedeva e godeva. Con l'anima traboccante di malinconia di fronte alla grandiosità della creazione che gli stava davanti e che voleva lasciarsi alle spalle, si inginocchiò per chiedere perdono. Il cuore della madre, stanco per l'età e l'inseguimento, non resse alla fatica per cui Mariancani, sorridente, morì tra le braccia del figlio che, disperato, invocava l'Onnipotente perché lo facesse morire insieme alla madre. L'Onnipotente, accogliendo la preghiera di Perdu, lo pietrificò, supplice e genuflesso davanti alla madre, anch'ella pietrificata in piedi e con il volto verso la nave, all'ancora nella baia di S. Maria Navarrese, repentinamente trasformata, da una lama di luce accecante, nello stupendo isolotto d'Ogliastra destinato a rimanere perennemente ancorato, con la prua rivolta verso Capo Montesanto, nel mare di là dal quale Perdu avrebbe voluto essere traghettato. Nelle notti di luna, chi osserva la figura di Mariancani la può vedere sorridente perché né lei, né suo figlio hanno lasciato la terra dove le scorrerie dei venti fanno e disfanno le nuvole che, birichine, recitano nel cielo fino a quando la tramontana le spazza via esaltando la luminosità della ribalta dello stupendo anfiteatro aperto verso il mare di Arbatax sul quale, superbo, si protende Capo Bellavista voluttuosamente accarezzato dalle onde color cobalto.

Nel romanzo L'ultima jana la protagonista Cicytella vola su monte Tarè e aspetta il sorgere del sole...si sta innamorando di Elias ma non lo sa ancora...

Vi offro uno stralcio tratto da L'ultima jana. Ho scelto questo perchè parla di Monte Tarè e della vallata ogliastrina: i luoghi della mia infanzia.


"Cicytella uscì dalla grotta solo prima dell'aurora; spiccò il volo e si diresse verso oriente. Le era venuto l'irrefrenabile desiderio di vedere il sorgere del sole sul mare. Scelse una piccola montagna deserta dove si poteva incontrare solo qualche sparuta capretta che era riuscita ad arrampicarsi fin lassù fra gli sterpi e i grossi massi spigolosi e sporgenti. Era questa una piccola altura formata da rocce di porfido che l'azione del vento aveva modellato in forme strane e contorte nel corso di milioni di anni. A Cicytella era sempre piaciuto quel posto solitario per l'atmosfera aspra e primitiva che sprigionava da ogni anfratto. Da lassù poteva vedere tutta la vallata ogliastrina e lo sguardo andava giù fino alla ridente pianura con i suoi aranceti e lo stagno, le sue bianche spiagge e il piccolo golfo da cui emergeva uno scoglio dello stesso rosso di quella montagna che l'ospitava, monte Tarè.
Si sistemò comoda accovacciandosi per terra, si abbracciò le gambe e pose il mento sulle ginocchia. Aspettò così il sorgere del sole.
Arrivò dapprima timido, annunciato da aranciati bagliori sul mare, poi spavaldamente sorse rosso come il fuoco. Un disco rosso perfetto sull'orizzonte marino. Per un pò Cicytella lo accompagnò con lo sguardo, ma solo per poco, perchè sprigionò all'improvviso quella potenza di energia luminosa che l'avrebbe contraddistinto fino al tramonto. E fu impossibile continuare a guardarlo. Era una divinità antica, che andava adorato con quel silenzio, pensò Cicytella. E a lei quel silenzio piaceva, in esso si cullava, in esso si distendeva".




Monte Tarè
foto: www.lamarmora.it


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