Notizia tratta da: L'Unione Sarda di Sabato 27 febbraio 2010
Cultura
Libro.
L'archeologo Paolo Bernardini rilegge le vicende tra le età del Bronzo e del Ferro
Le tracce di micenei e fenici oltre il mito dell'isola di Sardò
Gli scavi restituiscono l'immagine di una terra dove si confondono più civiltà
SCAVI RECENTI Una risposta soddisfacente, per quanto sommaria e tuttora incompleta, arriva dall'archeologia e dalle interpretazioni degli studiosi sulla base delle novità emerse dagli scavi negli ultimi decenni. Il risultato di questo lavoro e una nuova lettura della storia antica della Sardegna arriva da Paolo Bernardini, con il libro "Le torri, i metalli, il mare" edito da Carlo Delfino. Ex direttore del museo nazionale archeologico di Cagliari, ricercatore dell'università di Sassari specializzato nel periodo fenicio-punico, ha raccolto nelle 250 pagine del bel volume la sintesi di vent'anni di studi. Il taglio, seppure scientifico per le citazioni e la ricca documentazione, vuol essere soprattutto divulgativo nel tentativo di fare chiarezza su una materia che abbraccia il millennio tra il XV e il VI secolo avanti Cristo. Al di là del mito consolidato dalla vecchia storiografia, ricostruisce l'immagine dell'isola a partire dal 1500 sino alla colonizzazione dei cartaginesi. Esplora, cioè, le fasi più discusse e complesse che sinora hanno diviso gli studiosi sulla presenza delle diverse civiltà che si sono affacciate in Sardegna e sul ruolo degli stessi sardi. A partire dalla domanda: ma chi erano gli abitatori dei nuraghi ?
IL VIAGGIO Paolo Bernardini immagina di imbarcarsi su una nave dell'antichità e di intraprendere un viaggio lungo le rotte del Mediterraneo. «Itinerari millenari, custodi di mostri e di portenti, luoghi di insidie, di pericoli e di meraviglie, ma alla fine veicoli straordinari di incontro e di scambio culturale, di una crescita che è sempre mutamento e trasformazione», scrive Bernardini: «Dietro gli antichi e suggestivi nomei della Sardegna vive il ricordo di una storia complessa e stratificata di esplorazioni, commerci e relazioni che la ricerca archeologica inizia appena a intravvedere e che ha unito in modo profondo le diverse sponde e acque del Mediterraneo».
Nel corso di lontane e intricate vicende l'isola è Icnussa, l'orma lasciata da un dio, il cui perimetro è esplorato dai curiosi e intraprendenti fenici e greci. L'isola è Sardò, il nome della moglie di Tirreno, capostipite favoloso degli etruschi. Ma anche la terra dei Sherden, quei popoli del mare che come mercenari combatterono in Egitto a fianco ma anche contro gli stesso faraoni. Ed ancora l'isola è la terra dalle leggendarie vene d'argento, la Sardegna "argyròphleps". Quest'ultimo nome evoca scenari mediterranei occidentali dei primi secoli dell'età del Ferro, quando i fenici e i greci sono intensamente impegnati nella ricerca e nel commercio dei metalli e in particolare dell'argento.
MICENEI Bernardini mette in evidenza la forte presenza micena nell'isola, diffusa lungo le coste, ma anche nell'interno dove i commercianti greci si spinsero seguendo i corsi fluviali e i sentieri delle pianure. I principali documenti sono rappresentati dai frammenti di ceramica che consentono agli esperti, grazie all'analisi dei materiali, ai colori e allo stile, di rincondurre al luogo di provenienza. Così troviamo testimonianze a Cabras, nel golfo di Palmas, a Pula, Tertenia, Orosei e soprattutto a Sarroch dove lo scavo del nuraghe Antigori (alle spalle della Saras) ha restituito grande abbondanza di ceramica micenea. Ma anche a Monastir, Sanluri, Barumini e più all'intero a Orroli. «Tra il 1300 e il 1050 avanti Cristo lo spessore dei contatti con i naviganti di cultura micenea è molto chiaro» sostiene l'archeologo. I greci interagiscono vivacemente con le popolazioni locali. Lo studio di questi reperti rivela la profondità e l'estensione dei legami tra la Sardegna e il mondo orientale ellenico e, attraverso Cipro e Creta, i contatti con le civiltà delle attuali regioni di Turchia, Libano, Egitto, Libia e Tunisia. Dopo i micenei arrivarono i fenici. E gli etruschi del Tirreno. E dopo ancora i cartaginesi. In mezzo gli indigeni che si confrontarono, dialogarono, commerciarono, si unirono, si mischiarono. Sicuramente si combatterono. Di certo - spiega Paolo Bernardini - c'è che queste civiltà convissero in un intreccio di culture, tradizioni, attività artigianali e artistiche, come testimoniano le indagini stratigrafiche dei siti archeologici e i reperti trovati nelle tombe. La storia non va avanti a balzi e a compartimenti stagni, ma le epoche si succedono con continuità e le civiltà si confondono.
I NURAGICI «Per quanto l'origine della "società delle torri" sia ancora oggetto di accesi dibattiti, è ormai chiaro che il profilo socio-politico della Sardegna del XIV e del XIII secolo non ha niente da spartire con l'immagine convenzionale e artificiosa di comunità preistoriche prive di gerarchizzazione sociale e di controllo sui mezzi di produzione e destinate per questa loro natura di "buoni selvaggi" a divenire prede innocenti di evolute civiltà egee e orientali». Al contrario - è questo il convincimento di Bernardini - lo sviluppo delle grandi architetture e di una complessa esperienza tecnologica basata sulla lavorazione del bronzo parlano a favore di una società ben organizzata guidata da persone o gruppi leader che adottano sistemi di controllo del territorio, di gestione delle risorse e di divisione del lavoro. Sarà questa complessità e maturità della cultura autoctona ad attirare l'attenzione dei mercanti egeo-orientali.
Così l'isola assume uno spessore rilevante nell'ambito delle navigazioni micenee in Occidente, verso la Spagna e le coste francesi. Allo stesso tempo ceramiche prodotte nell'isola dagli abitanti nuragici circolano negli empori egei, in Sicilia, nelle Eolie, a Creta e Cipro. La Sardegna diventa il crocevia fondamentale del circuito tra Oriente e Occidente per la trasmissione e la lavorazione dei metalli, principale forma di commercio di quelle età all'alba della storia.
CARLO FIGARI
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