domenica 16 maggio 2010

Scrivere poesie. Incontro con le poetesse e scrittrici Lamarque e Mastrocola


Salone internazionale del libro – Torino 15 Maggio 2010

Scrivere poesie. Incontro con le poetesse e scrittrici Lamarque e Mastrocola. Musica di Giorgio Conte. Coordinamento di Roberto Tesio

Appunti personali.

Incontro molto semplice e, proprio per questo, interessante e alla portata anche dei più giovani. Sono intervenute in un'ora che è volata via troppo velocemente, Paola Mastrocola e Vivian Lamarque. La domanda era una: come si scrive poesia? Da cosa viene l'idea che si trasforma in versi?

Paola Mastrocola dice che la prima cosa è stare a GUARDARE le cose che ci circondano. Le cose del quotidiano. Anche Giacomo Leopardi guarda la via e allora parla della donzelletta...della vecchiarella...e poi gli oggetti del quotidiano. Sono soprattutto gli OGGETTI sui quali cade l'occhio del poeta. La vita quotidiana fatta di persone e di cose. Poi l'artista rispetto a questo fa uno SCARTO. E così diventa poesia la pura osservazione. E questo avviene usando la PAROLA, anche semplice, anche banale.

Più volte Mastrocola dice che i poeti usano le stesse parole che utilizzano andando dal panettiere. Cosa le rende poesia? Lo “scarto” poetico. Alla parola banale devi entrare dentro e la devi fare diventare importante.

Anche Mallarmè diceva di far tornare alla parola la forza delle origini. E poi, la poesia è anche MIRACOLO. Lo sa chi fa poesia.

E Vivian Lamarque riprende il concetto di poesia come immediatezza, chiarezza, misura e candore con però lo “scarto”, cioè quel qualcosa che fa diventare poesia anche la semplicità. Un ragazzo le chiese una volta: ma che poesie sono le sue, si capisce tutto. Infatti, nella poesia di Lamarque non c'è bisogno di parafrasi, si capiscono subito (almeno così sembra ad un primo impatto). Calvino la chiamava la difficile facilità. Non è facile scrivere semplice la complessità del pensiero. La cosa più difficile è ottenere quelle parole, di persone e oggetti, in maniera semplice.

Facciamo un esempio: la parola LUNA. Quanto è stata usata! Eppure la si può ancora utilizzare per fare poesia.

Legge “Funeral blues” di W.H. Auden. Sentite come si fa poesia sulla tanto utilizzata parola Luna:

Fermate gli orologi, il telefono sia rimosso,
Tenete buono il cane con un succulento osso,
Fate tacere i pianoforti e con un rullio smorzato
Esponete la bara, ricevete chi è addolorato

Fate che gli aerei volteggino alti con sconforto
scrivendo nel cielo il messaggio: Lui è Morto,
Adornate di crespo il collo dei piccioni metropolitani,
Fate indossare guanti neri ai vigili urbani.

Lui era il mio Nord, il mio Sud, il mio Oriente e il mio Occidente,
La mia settimana di lavoro e la mia domenica a far niente,
Il mio mezzogiorno, la mia mezzanotte, il mio discorso, il mio canto,
Credevo che l'amore fosse eterno: mi sbagliavo tanto.

Non servono più le stelle: spegnetele una a una;
Smantellate il sole e imballate la luna;
Svuotate l'oceano, sradicate le piante.
Perchè ormai più nulla sarà importante.

SMANTELLATE IL SOLE E IMBALLATE LA LUNA

E poi legge due sue poesie “Invidia per la luna” e “La signora dei baci”, perchè anche l'amore continua da sempre a diventare poesia.

E finisce con “Primo amore”. Che dire? L'elogio della semplicità dei sentimenti e delle parole che li esprimono.


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